Di Paola “ZKR” Zukar
AL 25 – Ottobre – Novembre 1997

“Se si sente la base del nostro pezzo “Itʼs My Thing” e chiedo ad un ragazzino, ʻDi chi è ʻsta base?ʼ, lui mi risponderà ʻOh, questi sono Jay Z e Foxy Brownʼ…”

Erick Sermon, EPMD

Quando i Wu Tang non esistevano, quando non c’era la musica di Notorious BIG, di Tupac, di Jay Z, degli Alkaholics, dei Mobb Deep, quando nessuna nazione del mondo componeva in rima, quando il giradischi serviva solo come record player, quando il deejay regnava solitario sulla console ad un piatto solo e Maestro di Cerimonie era colui che presentava “Soul Train”, un universo di magma incandescente ribolliva sotto le strade malate del South Bronx. All’origine era il caos… e solo un uomo, nel posto giusto e al momento giusto, avrebbe potuto accendere la scintilla che, diventata fiamma, brucia ancora vivida ai giorni nostri. Per un caso e per strane combinazioni spazio-temporali quest’uomo, con un nome non a caso mitico, è stato Hercules, per tutti Kool Dj Herc, il padrino dell’Hip Hop.

Grazie a lui e alla sua creatività, la musica ha cambiato volto per sempre, rinnovandosi in continuazione, grazie al passaggio del testimone di mano in mano. L’Hip Hop ha oggi decine di aspetti e di sottogeneri diversi, ma ciò che lo rende sempre e comunque forte e sano è la possibilità di scegliere, di poter trovare al suo interno qualcosa che lo rende più simile al nostro modo di vedere le cose della vita. Sembra facile raccontata così… In realtà, questo è solo un foglio su cui si scrivono degli appunti disordinati che non hanno niente a che fare con la vera storia dell’Hip Hop, né con date e dati cronologicamente e strutturalmente perfetti. Qui di seguito troverete tre personaggi diversi tra loro e di epoche diverse, un’introduzione, delle opinioni in un unico articolo, un insieme di parole dalle quali ognuno può trarre delle conclusioni differenti per le domande che sempre più spesso si sentono chiedere in giro: com’era l’Hip Hop all’inizio? Come è cambiato? Sicuramente in peggio… Sicuramente in meglio… Che fine fanno le persone che hanno contribuito in maniera eccezionale a questa cultura e che non conosciamo o che non sentiamo più nominare? Continuate a leggere e traete le vostre conclusioni, questo è solo un minimo (con)tributo perché, mentre si avvicina il trentennio della nascita dell’Hip Hop, non sempre i meriti vanno dove devono andare. È mia convinzione che, come nella vita, tutto cambia ed è giusto che l’evoluzione prevalga sullo stadio originario onde evitare la stagnazione, ma come ho già sentito dire “se non sai da dove vieni, non ce la farai mai ad arrivare nel posto dove vuoi andare”… Il rispetto e la riconoscenza vanno dove tutto ciò che oggi è un dato di fatto, ieri era solo immaginazione…

La cosa che spaventa di più la gente riguardo lʼHip Hop, è il fatto che le persone seguono il ritmo per il ritmo in se stesso. LʼHip Hop vive nel mondo -non nel mondo della musica- ecco perché è così rivoluzionario. 

Max Roach.

Dal 1968 al 1972, il Bronx era completamente in mano alle gang, bande con nomi tipo The Organization, The Black Spades, The Savage Skulls di cui buona parte era devota alla protezione dei propri affiliati per mezzo della violenza e dell’intimidazione. La parte più a sud del Bronx era stata prevista per quegli immigrati che, alla fine degli anni ‘60, continuavano a fluire verso le grandi città come New York per tentare di trovare un lavoro remunerativo e una sistemazione poco costosa. Quell’area del Bronx fu pensata proprio per loro: casermoni giganteschi e mancanza di qualsiasi servizio furono i chiari progetti dell’amministrazione pubblica che lasciava i cittadini di quel quartiere al loro destino; e le bande fecero ciò che dovevano fare, prendere il controllo di un’area che nessuno governava. Le battaglie per i diritti civili che già nel 1964 avevano avuto una valenza sociale fondamentale, lasciavano un segno indelebile su alcuni leader dei quartieri che modellavano le loro gang sull’immagine dei rivoluzionari afro-americani che avevano guidato le lotte di quegli anni. Questi tentavano di portare attività positive verso la loro comunità pur sempre con mezzi limitati, ma con il supporto delle famiglie e delle persone che mal sopportavano il peso di un’esistenza resa impossibile dalla prevaricazione di gang violente e senza scrupoli; dall’altra parte, quest’ultime si occupavano semplicemente di sostenere economicamente la propria banda con il traffico delle droghe e di mantenere con ogni mezzo il controllo del territorio. A partire dal 1968, l’escalation di queste diverse posizioni portò a scontri violentissimi che risultarono in un incredibile numero di arresti e di morti causati da questa vera e propria guerra di bande; la situazione divenne così estrema da causare finalmente, intorno al 1972, un declino nella partecipazione e nel supporto della banda di quartiere: le gang cominciarono a dissolversi e, a seconda della propria attitudine, ogni affiliato prese una strada diversa.

È in questa atmosfera quasi irreale, che buona parte dei leader interessati a sviluppare positivamente le potenzialità del proprio quartiere e della propria gente, si unisce al fine di organizzare eventi in grado di intrattenere e di far socializzare le comunità nelle quali si trovavano a vivere: il modo più rapido ed incisivo erano le feste di quartiere che potevano avere le ambientazioni più disparate, dal parco, alla scuola, dal nightclub fino alla strada. Il loro unico scopo come ‘organizzazioni’ era quello di mettere assieme delle feste alle quali tutti potessero partecipare, facendo pagare una piccola cifra all’ingresso, solo per poter acquistare di volta in volta, un equipaggiamento migliore e più potente. I leader di queste crew, mai più chiamate gang, erano i dj che controllavano i sound system, gli impianti che facevano muovere la gente che finalmente tornava a voler ballare, riaffollando i locali da ballo che per anni erano rimasti vuoti. Il dj più conosciuto di quel periodo, grazie al suono poco ‘ortodosso’ della roba che metteva sui suoi giradischi, portava il nome di Kool Herc, un ex membro dei Black Spades, che sarebbe diventato da lì a poco, e a sua insaputa, il padrino dell’Hip Hop. Essendo il primo ad uscire da una gang con il suo impianto e la sua crew pronta ad organizzare eventi, Herc, con le sue forti radici giamaicane, era pronto per cambiare il volto della musica nera per sempre. Portando con sé la tradizione del toasting mischiata ad una irreparabile attitudine per il funk e per i segmenti più caldi di un disco, i suoi party cominciarono da subito a far parlare i quartieri e a spargersi a macchia d’olio fra altri dj.

Il toasting giamaicano è la capacità di parlare su delle versioni strumentali remixate di un pezzo, dette dub, in modo sincopato ed originale, creando brevi storie o semplicemente intrattenendo, con frasi ad effetto, la gente che balla in sala. Furono proprio i ballerini la spinta che fece cercare ad Herc la sezione del disco in grado di scaldare al suo massimo la pista, senza mai far scendere il livello energetico del pezzo. Mentre la maggior parte dei dj tradizionali suonavano la disco music che veniva proposta dalle radio un brano a seguito dell’altro nella loro interezza, Herc e un manipolo di altri dj come Grand Master Flash e Afrika Bambaataa, sapevano portare il pubblico al massimo grazie alla stretta selezione dei 30 secondi più funky di un disco. Era il dj che sceglieva la porzione più eccitante di una canzone, miscelandola ad un’altra e difficilmente suonava un pezzo dall’inizio alla fine, perché lo scopo unico ed ultimo era quello di far salire l’energia al suo picco e tenerla lassù per ore e ore. Per raggiungere questo risultato, Herc è conosciuto come il primo dj ad aver messo due giradischi sulla sua console da usare allo stesso tempo. Frammentare, ricreare, abusare, mischiare, trasformare, risuonare… La gente era pronta per affrontare un nuovo suono, per ballare al ritmo di melodie che esistevano solo nella mente del dj e che prendevano forma esclusivamente dall’uso ‘improprio’ dei suoi giradischi. Insieme con questa nuova forma d’arte, anche il modo di ballare a questi ritmi cambiò radicalmente e il B-Boying nacque dall’esigenza di seguire i nuovi rumori che uscivano dai sound system. Così come si usavano i break dei dischi (quei famosi brevi secondi in cui il basso, la batteria e il ritmo impresso dalla chitarra lasciano intravedere la più pura essenza di un beat), così i ballerini si abituarono a muoversi a quel suono, al momento del break, diventando ‘break’ dancers.

“… Non avresti mai pensato che lʼHip Hop sarebbe andato così lontano, ora io sono sotto ai riflettori perché compongo rime eccezionali…” Notorious BIG, Juicy

Ritorno al futuro… 25 anni più tardi… Nel frattempo, a New York, le cose sono cambiate molto, anche se il South Bronx continua ad essere un posto non esattamente desiderabile per trascorrere la propria esistenza. Il rap è diventato un genere musicale multimiliardario, in grado di creare profitti da sogno anche nelle tasche di persone e personaggi che non avrebbero mai creduto in una somma di cui non riesci neanche a contare gli zeri. Le ricchezze e i possedimenti di alcuni spesso non sono proporzionati al contributo dato alla globalità della cultura e, al contrario, la sparizione e le difficoltà economiche di altri pionieri avvalorano l’ipotesi che quando i soldi entrano a far parte del quadro si iniziano a contare le vittime della battaglia. Ma non tutti gli ‘originatori’ si sentono vittime; c’è chi ancora porta avanti le sue cose, non si fa troppi problemi e va avanti per la propria strada…

“Guardando i vecchi video, lʼessenza era… sì… i giradischi e i club. Mi stavo dimenticando che eravamo i dj dei club. Avevamo lʼabitudine di scrivere rime e di provarle per telefono. Queste piccole cose stanno ritornando…” 

Afrika Baby Bam, Jungle Brothers

LA STRADA DI HERC…

“Io sono sempre stato abituato a sentire le capacità di un’artista attraverso il feedback del pubblico, attraverso le risposte della gente che lo viene a sentire quando lui è sul palco. Questo è quello che conta maggiormente; se sali là sopra e la gente decide che il tipo che suona è scarso, è fatta… Lui è scarso, punto. Io provengo da una tradizione di dj e non c’è verso di mentire… se la gente non si muove alla roba che metti su, quella roba non va bene, stai sbagliando qualcosa. Il dj, più di chiunque altro, dovrebbe rendersi conto di ciò che gli succede quando è dietro ai suoi giradischi. Per tutta la manifestazione (Zona Dopa-Hip Hop Village n.d.a.) che ho potuto seguire, non c’è stato neanche un attimo di cedimento. Tutti i gruppi hanno avuto il loro supporto, anche se da persone differenti, ma l’Hip Hop italiano è vivo… Lo puoi vedere dai breaker che si davano da fare sopra e sotto il palco, dai diversi suoni che escono dall’impianto, dai più morbidi ai più duri, dal diverso stile dei dj, dagli Alien Army che sperimentano nuova creatività, fino al dj che fa ballare il suo pubblico.

È la diversità e la possibilità di scelta che rende ricco un panorama come questo, penso sia questa la strada giusta. Tutti questi ragazzi non devono sentirsi più in basso di altri solo perché non vengono da New York; loro sono italiani e l’Italia è così. E’ sempre un errore fare paragoni con gli Stati Uniti. Ho già provato questa sensazione quando mi trovavo a Londra. E’ paradossale… I ragazzi inglesi disprezzavano i loro mc, perché dicevano che non erano veri, ma intendevano dire che non erano come quelli di New York. Assurdo. Ma i ragazzi inglesi non dovrebbero neanche provare ad essere come i ragazzi di New York, perché l’Hip Hop è proprio il contrario di questa mentalità. Essere se stessi, sempre. Questa, se vogliamo, è l’unica regola ascritta dell’Hip Hop. Siate leali con la gente a cui parlate, con il pubblico a cui vi rivolgete. Siamo già in grado di fare una mappa mondiale dell’Hip Hop. Esiste l’Hip Hop italiano, quello inglese, c’è l’Hip Hop giapponese. La cosa è diventata universale, è diventata una lingua universale, né più né meno. Non sono mai stato egoista e tanto meno campanilista. Cosa dovrei dire io che sono giamaicano? Cosa avrei dovuto dire per tutta la mia vita? Questo Hip Hop è giamaicano! Nient’affatto! In realtà io non ho nessuna rivendicazione da fare, non ho nessun copyright su una cosa grande come una cultura, così come non ce l’ha nessun altro, a parte il fatto di rispettare una persona quando la si vede impegnata nei confronti della cultura. Non sono fatto per giudicare nessuno e tanto meno per criticare la gente che ci mette la propria energia, usando il suo dialetto o il suo modo di fare le cose. Non è certo un errore, prendere ispirazione da ciò che succede negli Stati Uniti; se volete usare un particolare slang, siete liberi di farlo, ma deve essere della vostra lingua. Intrattenete il vostro pubblico in modo che possa sempre capirvi, fatelo ridere con delle battute che possano seguire, altrimenti non c’è gusto. La musica Hip Hop esiste da anni con il concetto di usare ciò che si ha a propria disposizione, proprio per far divertire o far pensare chi ascolta la nostra roba. Usare ciò che si sente dire nel proprio quartiere, nelle situazioni in cui viviamo tutti i giorni, usare la musica che viene suonata nel tuo quartiere e metterla sul proprio disco, questo è creativo; in questo modo, difficilmente, si verrà standardizzati, capisci cosa intendo dire? Tutto l’odio che spesso si sente, soprattutto nei momenti live, è da evitare, in modo particolare quando non ha spirito di competizione, ma è solo una pura e semplice critica immotivata. La competizione aiuta la creatività, ma dovremmo sempre avere la capacità di capire quando il party è finito, di capire che non è un fatto personale, io ti voglio bene come persona quando il concerto è finito, quando i nostri interessi professionali lasciano il posto alla persona di ogni giorno.

La competizione e la sfida sono solo qualcosa che dovremmo usare per spronarci, per coinvolgere maggiormente la folla che è venuta a vederci, per liberare un’energia che abbiamo dentro. Ma nessuno di noi deve prendersi il permesso o sentirsi in diritto di lottare e insultare un fratello o una sorella quando lo spettacolo è finito e comincia la vita di tutti i giorni. La stessa cosa è successa a casa, negli Stati Uniti, questo è quello che sta rovinando e degradando tutto il business. E’ giusto difendere le proprie idee e vedere che l’Hip Hop è una delle cose più preziose che ci portiamo dietro quando andiamo a dormire e che abbiamo con noi quando ci svegliamo; troppa gente in America prende un sacco di cose da questa cultura e non restituisce nulla in cambio. Magari sono capaci di accapigliarsi per una stupida divergenza di opinioni, ma non difendono sufficientemente la cultura quando viene attaccata dall’esterno. Questo è ciò che rende triste l’attuale situazione statunitense. Bisogna fermare l’animosità che si vede nel backstage fra gli artisti e nella platea fra i partecipanti, perché nel momento in cui si fanno delle cazzate e deve intervenire l’autorità, è già troppo tardi… Non avrete più spazi per esprimervi, non avrete più la gioia di andare ad un concerto senza la paura che vi succeda qualcosa di spiacevole. Bisogna tutelare i nostri interessi, perché la maggior parte dei locali negli Stati Uniti, non vuole nemmeno sentir parlare di serate rap, anche se paghi una copertura assicurativa altissima, molte volte ti rispondono che non hanno bisogno di questo tipo di grattacapo e tu non suonerai più da nessuna parte. Ma la cosa più incredibile è che molto spesso il casino, non parte nemmeno dal pubblico, sono gli stessi artisti che fanno le cazzate più grosse. Qualche anno fa, sono entrati nel panorama Hip Hop, dei ragazzi che raccontavano le loro storie di quartiere, e queste storie sono incentrate sulle armi, sullo spaccio della droga, sul numero di donne che hanno a disposizione, insomma su tutto quello che per loro è l’unico modo di essere qualcuno. A questi ragazzi non frega un cazzo del rispetto, loro ti dicono solo come faranno ad ottenerlo questo rispetto. Se necessario ti spareranno, ti daranno un sacco di botte se li guardi nel modo sbagliato e, se per sbaglio ti scontrano, non ti diranno ‘scusami’, ma ‘levati dal cazzo’. Quindi, quando loro entrano a far parte del business, questo è quello che racconteranno nei loro pezzi. Così i media hanno cominciato a parlare del ‘gangsta rap’ e la definizione è giusta perché è quello che è. Questi ragazzi vendevano davvero droga, si davano da fare con attività illecite e poi, con quegli stessi soldi, hanno messo su il loro business nel campo della musica. E nessuno li ha fermati, nessuno ha detto loro, ‘ehi, questo non è quello di cui abbiamo bisogno, quello che fate voi non è lo scopo ultimo della musica’. Qualcuno ha visto i grandi interessi che si nascondevano dietro a questo modo di agire e nessuno ha avuto la dignità di fermarli. O perlomeno di limitare la loro importanza, cercando di non esporre i più giovani e la grande massa ad una cosa di questo genere.

È tutto legato ai soldi, e chi poteva fare qualcosa all’epoca e non l’ha fatto era il primo a piangere quando hanno cominciato a cadere i morti. Ma voi sapevate che sarebbe successo! Non ditemi il contrario! Voi come etichetta discografica, voi come amici, voi come promoter, voi come manager! Voi avete dato il permesso che queste cose succedessero, voi sapevate che certe cose sarebbero successe. Chi ha iniziato ad ascoltare certa roba già a partire dall’84/’85, come si sarebbe comportato una volta raggiunti i sedici o diciassette anni? Come potevano interpretare un messaggio che gli è rimasto nelle orecchie per tutto questo tempo? Se non hai un buon supporto da parte della tua famiglia, ti aspetti che qualcun altro ti racconti com’è la vita. Il rap è qui per noi, per rilassarci, per divertirci, per farci pensare, per farci godere l’atmosfera che si respira fra amici, tra fratelli e sorelle. Era questo lo scopo originario… Hip Hop, rock and don’t stop. È questa l’unica definizione di Hip Hop che metterei in un dizionario. Se devo fornire il mio ideale di situazione, a me piace l’atmosfera di un party, l’atmosfera che respiravo un sacco di anni fa. Personalmente, mi piace il dj che fa muovere la gente, che riesce a far ballare, che usa il microfono, che vuole una risposta dalla gente in pista. Non amo molto vedere la gente tutta in piedi, ammassata, che guarda come ipnotizzata i trucchi di un dj per un’ora. Questa cosa è interessante per l’innovazione, per nuova creatività e ad un concerto va bene per qualche minuto, per dimostrare la propria abilità, per ottenere qualche applauso in più, per sviluppare il business. Mi piace sentire l’mc e il dj lavorare assieme, senza usare sempre quell’orribile macchina che è il Dat. Va bene usarlo in alcune parti del concerto, ma se ne abusa troppo, ultimamente. La collaborazione fianco a fianco del dj e dell’mc è ciò che li rende umani, capaci di sbagliare, ma soprattutto capaci di riprendersi e portare avanti lo spettacolo, insieme, per la gioia di tutti.”

“Nonostante Grandmaster Flash abbia preceduto la Sugar Hill Gang di alcuni mesi con un pezzo chiamato “Superrappinʼ, il successo commerciale di “Rapperʼs Delight” ha fatto decollare questʼultimo e ha fatto segnare il passo che ha confuso lʼindustria discografica”

Sylvia Robinson, fondatrice dellʼetichetta Sugar Hill Records

LA STRADA DI MC LYTE…

“Ho cominciato con questa professione quando avevo sedici anni e ho subito avuto la possibilità di lavorare con la Atlantic Records per il mio primo album, “Lyte As A Rock”, era il 1988, e ho cominciato a lavorare con diversi produttori tra cui i miei fratelli Gizmo e Milk, gli Audio Two, che mi hanno insegnato alcuni segreti del business, perché, per quanto riguarda l’Hip Hop, avevo già centinaia di esempi intorno a me, a Brooklyn. Io non ero certo la prima ragazza a rappare, anzi prima che arrivassero i contratti discografici, altre donne si erano date da fare, ma sempre nella penombra. Gente come le Sequence, tre ragazze che su etichetta Sugar Hill riuscirono ad arrivare perfino in classifica nel 1980, o le tipe che fecero parte dei Zulu Nation Rappers, la deejay Jazzy Joyce e ancora prima La Spank. Quando uscì il mio primo singolo, “I Cram To Understand U (Sam)”, la situazione era sicuramente molto diversa da adesso; tutto era molto più ‘hardcore’ per l’Hip Hop da classifica, probabilmente grazie ai successi dei Cypress Hill, dei Public Enemy, loro ed altri gruppi, in quel periodo registrarono pezzi che avrebbero per lungo tempo segnato il passo di altri artisti e la linea di fondo era dura fino all’osso. Poi i tempi sono cambiati e l’Hip Hop si è trasformato, esplodendo come un atomo in migliaia di particelle, dando inizio ad un periodo floridissimo economicamente, ma lasciando indietro parte di quella cultura che era nata come un insieme unico.

Il rap ha preso il sopravvento, per quanto riguarda i media intendo, ed è diventato la punta dell’iceberg; ciò non vuol dire che il resto non esista più, anzi, in questo preciso momento la cosa si fa davvero interessante, perché c’è in giro moltissima creatività, su livelli differenti ed in ambiti differenti. Ci sono tanti ottimi e giovani produttori di musica in circolazione adesso, gente come Jermaine Dupri, Puff Daddy, Rashad Smith e altri ancora… Tutti ragazzi che sono stati benedetti dal Signore con un talento infinito e ricchissimo; e, per quanto mi riguarda, sono felice che la nostra musica abbia una così forte esposizione verso le masse, voglio che la gente senta un irrefrenabile desiderio di alzarsi in piedi e muoversi, apprezzando i nuovi suoni che artisti e produttori mettono assieme per loro. In questo momento, si sta campionando di tutto, io stessa ho usato con piacere la musica di Diana Ross sul mio ultimo singolo “Cold Rock A Party” e il sampling di certa musica di successo è al momento la cosa più calda. Questo periodo che stiamo vivendo adesso, mi ricorda molto i primi tempi dell’Hip Hop, quando la Sugarhill Gang ha tirato fuori “Rapper’s Delight”, e la gente impazziva nei nightclub dell’epoca. Poi siamo passati ai beat originali composti da macchine apposite, con suoni mai sentiti prima. Ma sono convinta che sia solo uno dei tanti cicli che l’Hip Hop ha attraversato, così come è successo in passato, succede ora e succederà in futuro. Secondo me, entro breve si ritornerà alle produzioni originali, così come successe ai vecchi tempi. Tutto quello che ci vuole per la transizione, è un solo artista, accompagnato da un produttore che tira fuori un beat originale, e quando la traccia farà il botto, altri seguiranno e la cosa sarà iniziata prima che ce ne accorgiamo.

E poi, questo momento di euforia di vendite, ci dà la possibilità di uscire sempre più spesso dagli Stati Uniti, di vedere altri Paesi e di incontrare altre persone che impazziscono per la tua musica e questo mi riempie di soddisfazione; questa cosa non succedeva spesso allora, anzi, era già un evento, all’inizio, muoversi da una zona di New York ad un’altra. Poi, abbiamo cominciato a girare gli USA, ma ti assicuro che i posti classici li ho già visti tutti, decine e decine di volte: Atlanta, Texas, Chicago, Detroit, Ohio, California, San Francisco, Oakland, ecc… Oggi, moltissimi rapper hanno la possibilità di venire fino in Europa a suonare o di andare addirittura in Giappone e questo è un vantaggio enorme… Poter pensare di viaggiare per il mondo, quando una volta si pensava appena di prendere il treno per andare a Manhattan è un discreto cambiamento… giusto?

“Ogni volta che dicono che lʼHip Hop è morto o che sta svanendo o che non riesce ad innovarsi, è sempre venuta fuori una canzone che ha aiutato a portare il cambiamento, come ad esempio Doug E. Fresh con “The Show”, i Run DMC con “Itʼs Like That” e Eric B e Rakim con “i Know You Got Soul”.”

Afrika Bambaataa

LA STRADA DI LORD FINESSE…

“Al momento non mi sento molto rappresentato da una certa industria e dalla direzione che sta prendendo la parte più commerciale del business. L’airplay delle radio è occupato esclusivamente da roba commerciale e quando un a&r ti dà il suo biglietto da visita e ti dice di chiamarlo, ogni volta che telefonerai parlerai con quella cazzo di segreteria telefonica e non ti richiameranno mai. La cosa più triste è che non stanno veramente cercando di coltivare nuovi talenti, vogliono andare sul sicuro, ma è troppo facile. Non è sempre così, ma capita un po’ troppo spesso ultimamente. Quando vengo in Europa, so che non molti dei ragazzi di queste parti hanno ascoltato e comprato il mio disco, ma è normale, perché non ho la possibilità di farmi vedere in giro così spesso. Ma quando salgo sul palco e faccio il mio show, sono sicuro che la gente si accorge della differenza tra uno spettacolo moscio con un mc che viaggia sul dat e con il tipo di sensazioni che io porto quando, a metà del live, salgo in consolle e mi muovo dietro i piatti, mi piace giocare con il mio dj, fare un po’ di vero Hip Hop, consegnare buone rime e intrattenimento vero al mio pubblico. Sono sempre stato un dj, dall’inizio, ma la gente non lo sa. A New York la gente non apprezza più molto questo tipo di serate, ma quando suono in Europa, so che la gente vuole vedere la ‘cosa vera’, come si faceva un po’ di tempo fa, con il dj e con l’mc che viaggiano insieme, e qui posso anche portare roba dei miei primi album, mi posso lasciar andare a ciò che sento veramente; a New York devo solo produrre dei tesissimi 25 o 30 minuti di spettacolo, perché la gente si sta abituando ai ritmi veloci degli artisti più commerciali che vengono nel club, fanno sei o sette pezzi con molta frenesia, poi contano i soldi e vanno all’after-party.

A me piace prendermi le mie pause, parlare con la gente che è venuta a vedermi, sparare un paio di battute, fare ridere e divertire il pubblico, proporre i miei pezzi vecchi come se li avessi scritti ieri. Il fatto è che a me piace parlare con il pubblico, con chi ascolta i miei dischi e con chi poi viene a vedermi. Certi rapper di oggi si fanno mettere la base così forte che non si capisce nemmeno ciò che stanno dicendo o se il disco salta; io posso passare senza problemi ad un’altra routine della traccia, non fermo certo lo show, gridando ‘rimetti il dat dall’inizio’… C’è un problema? Chi se ne frega! Posso passare ad altre sezioni, ma non tutti sono in grado di stare sul palco, ed è il live che dimostra veramente se sei capace. Questa è la bellezza di lavorare con un buon dj e con i vinili. Non fraintendermi… Fare un paio di parti con il dat va bene, ma deve essere l’eccezione e non la regola. Senza parlare dei testi e del tipo di canzoni che si sentono sempre più spesso ultimamente… Ci sono moltissimi artisti che hanno capito come tirar fuori un record di vendite, basta andare a ripescare dal passato un successo e ristrutturarlo. Certi sembrano non voler rappare neanche più! Cioè, usano ancora il rap, ma ci mettono dentro uno stile r&b. Si perde quell’atmosfera più cruda ed oscura che rendeva particolari le tracce Hip Hop di una volta. Non voglio generalizzare, ci sono anche state cose parecchio buone in quell’ambito, non c’è niente di male nell’usare certe melodie, ma se io lo facessi, cercherei sempre di farlo con molto soul, con molta passione ed anima. L’ispirazione viene dall’r&b, ma sta all’artista renderla interessante ed innovativa. Si è anche completamente persa la parte divertente dell’Hip Hop, il senso dell’umorismo, la gente è troppo seria ultimamente. Nessuno vuole più essere il burlone, quello che fa ridere gli altri. Tutti vogliono fare i duri, come se ci fosse qualcosa di male nel mostrare l’aspetto più gioioso di sé; mi piace raccontare tutto di me. Ho sempre raccontato quello che non mi andava bene della vita che stavo vivendo, ma allo stesso tempo, mi piace sparare cazzate, perché posso anche essere divertente, pur dicendo le cose come stanno.

I rapper sono sempre stati anche un po’ cabarettisti, la tradizione del cabaret è sempre stata fortissima ed importante per i neri, fa parte dell’intrattenimento, fa parte del prendere possesso del palcoscenico. Se vedi succedere qualcosa intorno a te mentre fai la tua parte, ti puoi fermare un momento a dire cazzate con il tuo pubblico, improvvisi, parli con loro e ne ricevi magari altre battute. Altri rapper non guardano nemmeno la gente che li viene a vedere, non vogliono il contatto visivo con i loro supporter. Girano avanti e indietro con lo zaino sulla schiena guardandosi i piedi. Una volta era il contrario. Certo non è facile usare le parole giuste con le rime giuste per esprimere il proprio stato d’animo, ma un vero artista dovrebbe essere capace di farlo. Se senti gente tipo Genius dei Wu Tang, capisci subito ciò che voglio dire… Il modo in cui lui usa le metafore, il modo in cui esprime ciò che sente e l’intera atmosfera dei suoi pezzi lo rendono speciale. Se i ragazzi sono in grado di approfondire le sue metafore e capirne il significato, ti accorgerai quanto sia spettacolare il risultato finale. OC, Nas, Gza sono ragazzi giovani, che hanno davvero delle doti eccezionali di narratori, in loro lo spirito originario rimane intatto perché sono veri ‘lyricist’. Anche Scarface è davvero bravo nel comporre; quando compro i loro dischi, passo due fasi differenti, una prima fase di ascolto e una seconda fase di meditazione. Quando tiro fuori una frase tipo ‘Là fuori la plastica sta rimpiazzando la carta’, tanti si fermano a quello che hanno esattamente ascoltato, ma quello che voglio dire in realtà è che, nel mondo attuale, si usano sempre di più le carte di credito rispetto ai soldi, e con la carta di credito la gente è facilmente controllabile e manovrabile… E’ una metafora, un modo di trattare diversi temi con vocaboli ed espressioni che dovrebbero far riflettere. Ma capisco che non tutti vogliano impegnarsi ad approfondire certi argomenti, rimanendo legati ad una musica più leggera e meno impegnata, quindi più commerciabile. Io ammiro molto le cose che hanno fatto i Wu Tang; loro sono stati in grado di portare l’Hip Hop ad un altro livello in una maniera originale e creativa, non copiando da nessuno, hanno fatto molto per il modo in cui il rap vive nel mondo. Anche Tupac ha fatto cose bellissime nella sua breve vita, ma i media non gli hanno dato scampo. Puoi essere la miglior persona del mondo e fare le cose più positive e meravigliose del mondo, ma se sei scomodo, appena fai il minimo errore, ti saranno tutti addosso per puntarti il dito contro. I media hanno il potere di condizionare le menti, ma la gente del ghetto deve avere la capacità di decifrare i loro messaggi, di capire cosa ci sta sotto.

Si deve cercare di capire i loro modi per non cadere nella trappola. Nessuno vuole che tu divenga un artista rap di successo perché penserebbero che sei sfuggito al ghetto troppo facilmente, tirando su degli stipendi da chirurgo o da parlamentare. Non vogliono vedere certi esempi, ma Tupac, Wu Tang e Biggie sono davanti agli occhi di tutti, anche se Pac e Biggie se ne sono andati. I media vogliono attaccare Puff Daddy e Suge Knight perché loro rappresentano due imprenditori neri di enorme successo venuti dal nulla; vogliono trasformare i loro messaggi e le loro azioni in qualcosa di brutto, mentre ciò che questi due tipi ci hanno insegnato è che chiunque può essere il boss di se stesso, che chiunque può possedere una ditta di successo e che chiunque può fare ciò che loro hanno già fatto. In passato non potevamo neanche sognarci di avere delle etichette interamente possedute da neri. L’unica soluzione per fare veramente dei soldi è quella di avere la tua etichetta, perché quando ti devi appoggiare agli altri, alla fine della tua avventura discografica, invece di guadagnare, sei tu che devi ancora qualcosa ai discografici. Chiediamo un po’ alla gente che ha inciso dei dischi anni e anni fa, come sono messi oggi? A molte persone Puff Daddy non piace per niente. Io penso che sia un genio. Ci sono sempre due aspetti diversi di una stessa storia… Ad alcuni non va bene il fatto che lui porti così tanta roba commerciale all’industria, ma anche se non lo vogliono ammettere, lui rimane un genio. Lui è andato a prendere un artista del ghetto più puro e gli ha fatto vendere tre o quattro milioni di album. Ci sono voci che dicono che lui non produca nemmeno tutte quelle basi da solo, e potrebbe perfino essere vero, ma qui non si tratta solo di musica! Qui si sta parlando della visione che ha avuto, dello sviluppo di un’idea. Ha preso Biggie e gli ha detto, ‘Io ti aiuto a fare quello che vuoi fare, ma poi tu devi aiutare me a fare quello che c’è da fare’. Prima che uscisse “Ready To Die”, non esisteva “One More Chance”, non esisteva “Big Poppa”, non esisteva “Juicy”. Puffy gli ha detto che per avere successo avrebbe avuto bisogno di quel tipo di pezzi e Biggie lo ha seguito.

Puff ha avuto una splendida visione e per quanto tutti si domandino se quello è o non è Hip Hop, o se le basi siano sue o meno, in questo caso ciò che conta è la sua capacità di immaginare i successi. E anche grazie a lui, sai cosa penso che succederà nel prossimo futuro? L’Hip Hop sta tornando, il vero Hip Hop sta tornando. La gente si stufa presto delle hit troppo facili, dei cori r&b e dei samples strausati, è già successo, è tutto ciclico, non c’è bisogno di prendersela con nessuno. Se si mangiano hamburger per anni, dopo un po’ non vuoi sentirne nemmeno l’odore e si passerà al pollo o al tacchino. L’Hip Hop da sottoterra sta tornando in superficie e magari conviverà con un po’ di r&b, qui e là. Avremo di nuovo gli EPMD, Diamond D, Pete Rock e CL Smooth, i Brand Nubian… Il problema non sta certo nei campionamenti, bensì nelle cose che fai ad un campionamento. E’ la struttura lirica che avvolge il loop che fa una canzone, ecco perché non bisogna parlar male dell’r&b. E ciò che si fa con quella musica che conta, non è un problema se si campiona “Inbetween the Sheets”… Quello che ha fatto Biggie con quella canzone è stato fantastico! “Juicy” era perfetta! Sì… Sta ritornando, sento che il vecchio Hip Hop, yes, yes, y’all, you don’t stop sta tornando, con i B-boys e tutto il resto…”

“Noi lasciamo che i media ci dicano che cosa è lʼHip Hop…”

Crazy Legs

“Quando dico Hip Hop, penso a Krs One, Wu Tang, EPMD e Rza. Non penso a me in quel modo. Ma io sono unʼestensione dellʼHip Hop. Sono una parte di esso.”

Puff Daddy