
Toni Zeno per Aelle Magazine, grazie per averci raggiunto e questa è la cosa giusta.
Rido: Voglio partire dall’adesso: a cosa stai lavorando in questo momento? Perché abbiamo intervistato alcuni tuoi colleghi che ruotano intorno al tuo mondo e so che ci sono cose in cantiere.
Tony Zeno: Faccio un no spoiler gigantesco. Posso solo dire che ciò che è stato visto uscire finora, la roba con Pessimo e Luca, non è tutto, non finisce lì. Per il resto, ho un sacco di altre cartelle simpatiche, di nomi simpatici sul computer. A breve, farò una spurga generale di tutto il materiale conservato su Logic.
Rido: Tu vivi e registri in Sicilia, ma lavori tanto con gente che gravita nel mondo milanese in generale.
Tony Zeno: Sì, anche Tony Zeno.
Rido: Esatto, al Nord, in questo momento il grande polo della musica e del rap, quindi anche in Italia. Com’è lavorare a distanza, anche se poi le distanze sono corte?
Tony Zeno: Più che altro dovresti chiederlo a loro, perché per me è meraviglioso: io ricevo la cartella e mi faccio sentire a cose pronte. Quest’anno ho dovuto un po’ rallentare per cose, come dicevo prima, però è sempre una cosa magica perché i ragazzi mi mandano cose pensate appositamente per me, mi coccolano tantissimo, dal Torso alla Gioielli alla Alea, chiunque sia la persona con cui lavoro. Per me è una bomba, fuori da ogni prospettiva pensavo di arrivare anche solo a lavorare con gente che ha 2000 km di distanza e che comunque vuole farti fare cose fighe. Non è scontato, potrebbero puntare su altri 20.000 cavalli e sono contento che sia arrivato.
Rido: Dicevi che hai tante cartelle che identificano sfumature della tua personalità, della tua maniera di scrivere, di interpretare i pezzi, di collaborare con gli altri, per cui ti danno l’opportunità di esprimerti e di giocare. Hai esperienza in questo?
Tony Zeno: Il rap è una forma di espressione così varia che chi si approccia non può pensare che farò sempre bittoni a 70 bpm pianissimo. Ci vuole roba che ispira sotto tutti i profili e io prendo come una spugna da ogni angolo della cultura, da nord a sud, est a ovest, le robe più classiche, le robe più nuove. Sono un figlio di mezzo e cerco di non vincolarmi a una sola tipologia di suono, anche perché non faccio rap a contratto, di conseguenza mi annoierebbe fare un disco sempre uguale. Non è il mio sport. Ho fatto anche il disco con Ale, proprio per variare completamente i suoni e perché in testa avevamo altro che non fosse quello a cui il pubblico era già abituato. Mi piace vedere l’effetto che provoca in chi ascolta un approccio completamente diverso, che si aspettava il vittone grasso e invece c’è tutto altro. È bello variare, mixare. C’è il discorso dell’identità di fare musica, di darsi la possibilità di avere più sfaccettature, di non essere un blocco di granito. Se fossi nato al centro di Memphis, farei la roba di Memphis e stop, ma siamo in Italia, le influenze sonore sono infinite, sia nel rap italiano che in quello americano, di conseguenza non possiamo dire che una città ha un suono ben distinto, a meno che tu non venga a Milano e cerchi quel suono urbano, di strada, più grezzo. Per il resto, si deve attingere dalla cultura. Ovviamente con il know-how necessario, perché se non è fatto con un’etica precisa non ha senso prendere robe a caso. Quindi sì, mischiamo perché non c’è un solo suono in Italia, non c’è un solo tipo di produttore e, finché avrò l’opportunità di lavorarci, farò uscire tutti i beat diversi del mondo.
Rido: Non c’è neanche un mercato che richieda sempre la stessa cosa, perché se gli ascoltatori sono curiosi è bello dargli da sentire cose diverse. Penso che vada messa sempre più carne al fuoco affinché la gente si possa fare una propria idea e capire che c’è una tazza di te per tutti nell’ascolto della musica, che non è tutto canalizzato su qualcosa che deve essere obbligatoriamente quello perché è di grande o piccolo passaggio, o che il fatto che sia in alto sia subito un demerito. Bisogna capire che c’è tanta qualità in giro, ci sono tantissimi ragazzi e ragazze che fanno ogni genere e spacca il culo. Se la gente si comincia ad approcciare in maniera più culturale all’ascolto e non da fast food, è un bene, senza dubbio arrivano anche cose diverse da quello che ti propinano in classifica. Nella tua vita personale, tra lavoro, affetti, vita al sud, registrazioni, collaborazioni al nord, il rap che posizione ha dal tuo punto di vista umano, espressivo, in che momento della giornata arriva?
Tony Zeno: È sempre presente. Mi sveglio con i mix e master fatti la sera prima, con i beat da una vita ad ascoltare. In questo periodo ho fatto un mischione gigantesco di tutto, stavo tutto il giorno in ufficio con i beat nelle orecchie oppure in giro. Non riesco a fare scendere il rap nelle posizioni, è una forza motrice esistenziale. Anche le persone che mi stanno intorno sanno quanto per me è importante, perché è una fase umana di cui ho bisogno, anche per cose che vanno al di là del lavoro, anche solo l’ascolto, l’analisi sui dischi, è un momento personale. A livello culturale, il rap è anche più in alto delle priorità, perché è la mia fascia di formazione. Non ho altri esempi in testa che le barre mie o di altra gente, per me sono una fascia esistenziale formativa. Oggi ci sono giornate dove devo assecondare le necessità della mia famiglia, delle persone che mi stanno intorno, perché se abbiamo scelto di vivere una vita decente è perché siamo utili alle persone che abbiamo intorno. Di conseguenza non sempre riesco a dire “oggi vado a registrare”, però sono sempre operativo. Mi capita tante volte che i colpi di follia, come il gruppo di famiglie in un interno con Gioielli, è registrato nella mia Lancia Ypsilon, con il microfono e il computer. Gioielli mi ha detto “Non cambiare niente”. Non ho neanche studi appositi, ho un microfono, una home station dove registro e può essere qualsiasi momento della giornata se sono a casa. Mi piace questa definizione di rap come luogo della mente, che non ha bisogno di uno studio, non ha bisogno di infrastrutture. Ho passato una vita a dirmi che non avevo i mezzi per fare le cose, poi ho cominciato a farle e ho visto che non mi servivano tutte le cose di cui ero convinto di aver bisogno, mi servivano solo le idee. Le cose poi prendono forma e la gente arriva alle cose che erano veramente grezze, che mi facevano dire “questa è la roba che sto cercando”. Anzi, mi sento già privilegiato che ci siano tre persone che si ascoltano le mie cose registrate nella Lancia, quindi più ne arrivano, meglio è. Non do troppo peso alla cosa, non penso di doverla fare in maniera professionale con le riprese e le vocali in quel modo. Va definito il professionale.
Rido: Ti dà lo spazio per crescere da solo, senza un feedback degli altri che arriverà dopo, però c’è quel momento riflessivo.
Tony Zeno: Sì, è un momento in cui sono frustrato mentre registro, mentre scrivo, perché mi sento un po’ maniaco della perfezione, ma non la cerco. Devo semplicemente adattarmi ad andare d’accordo con le cose che faccio, magari vanno bene subito. Per esempio, quando è uscito “Pokemele” con Zonta e Mella, io me lo sono tenuto nel computer un mese perché pensavo facesse schifo. I ragazzi l’hanno sentito e mi hanno detto “La roba spacca”. Quindi ho detto “Forse sono limitato dai miei ascolti, dal fatto che mi aspetto che la roba suoni come Rakim, ma non va bene se suona diversamente”.
Rido: Obbligatorio, ecco.
Tony Zeno: È una questione di prospettiva e di quello che ti aspetti da quello che fai. Io ho cominciato perché volevo fare, di conseguenza non mi interessava troppo come mi ascoltassero, l’importante era che mi ascoltassero, anche se la voce era gracchiante. Chi ci vuole arrivare a determinate cose ci arriva senza pretesti, senza dire “Ah, ma la qualità non è a 44-10-40+”. Il bello è nelle mani e nelle orecchie che capiscono la qualità intrinseca del lavoro, non la qualità tecnica, che è sempre relativa. Ascoltiamo dischi registrati negli anni ’60 che sono marci, ma bellissimi. La musica è fatta di questo, soprattutto il rap, che è un rigurgito umano interno, di conseguenza non può essere una cosa perfetta, con tutti i crismi al posto giusto. Se ogni cosa è al suo posto, ho paura, perché vuol dire che è come un pacco di assorbenti al supermercato: qualcuno deve comprare. Cerco di fare in modo che ci sia l’elemento, la gemma che sta comunicando quelle cose, che non è perfetto. Vedi Luix, vedi un po’ tutti i riferimenti. Non è perfetto, ma è perfetto perché la sua perfezione è data dall’essere la voce di quella tipologia di sentimenti e movimenti, non è fatto dal fatto che è bello pulito, in studio. Di conseguenza non è una questione di quanto ci spendi, è un fattore incisivo, ma non è quello che cerchi nell’arte, non è quel quid in più. Anzi, quella perfezione a cui siamo abituati dalla musica pop, da alcuni tipi di arte contemporanea, abbiamo quasi bisogno di scorcarla.
Rido: Per forza.
Tony Zeno: Così come le immagini, che sono talmente definite che dici “mettiamogli un filtro”. Tutto troppo perfetto è tutto troppo plasticoso, ma io non faccio distinzioni tra underground e mainstream, valuto la qualità delle idee, che sono la cosa fondamentale. Purtroppo siamo in un momento storico dove la qualità delle idee è mediocre e di conseguenza anche le figure che vengono preposte sono mediocri. Capisco che tante persone hanno la netta consapevolezza di valere di più di quello che gli viene dato in pasto, ma pochi hanno la funzione umana di andarlo a cercare. Qualcuno lo trova da solo, qualcuno lo trova senza niente. Però il nostro ruolo, quando ero ragazzino, era avere artisti che mi davano una prospettiva umana diversa, ti davano una cosa del tipo “devi renderti operativo al mondo per migliorare la tua situazione e non fare cazzate”. Quelle cose le abbiamo già fatte e viste, adesso è il momento di agire in maniera conscia e utile al prossimo e a se stessi. Sono cresciuto con quest’ideale di rap e se anche solo una persona riesce a rivedersi in quello che faccio ed è quello che questi artisti rappresentavano per me, anche solo in scala 1 a 150, è una cosa pazzesca.
Rido: Una delle difficoltà di essere in un’altra regione, di vivere in Sicilia, è il fatto di non potersi confrontare dal vivo con le persone, nei live.
Tony Zeno: Purtroppo il movimento da Roma in giù ha una mancanza di…
Rido: È chiaro. Poi ci sono così tanti spazi espressivi, è difficile…
Tony Zeno: È molto diverso rispetto a prima. Purtroppo si passa da cose che sono strettamente legate. Voi venite da un assetto della cultura dove c’era quella cosa…
Rido: Fichissimo, andiamo, muoviamoci, mobilitiamo e sentiamoci da artista X.
Tony Zeno: Adesso dipende dai follower, da quanta gente ti porta al locale. Anche io ho gente che dice “ti ascolto, gestisco i locali, vorrei chiamarti a suonare”, ma se tu mi chiami non ci guadagni, perché vengono in trenta. Cerco anche di andare incontro alle persone, capisco le tipologie di necessità. Oggi in Sicilia è molto difficile, perché tira solo il mainstream. Se viene Salmo, se viene Gioliè, spostano mille, duemila persone, che non sono neanche tantissime rispetto al nord Italia. Di conseguenza è più complesso, soprattutto per la voglia. Giù quello che faccio io non esiste. Si chiedono “Perché non vai a lavorare?”. Di conseguenza, il posto ha un attaccamento alla realtà tale che non concepisce determinate situazioni, fino a quando non vinci. Se vinci, torni e sono tutti a dire “Lo sapevo”. E questo mi fa dire “Sto correndo a vuoto”. Cioè, per quanto possa avere un risvolto personale e fisico su di me e sulla mia famiglia, è un limite per interagire col mio contesto. I ragazzi sono a Milano a incontrarsi, a vedere nascere l’industria. Io sono in Sicilia, aspetto la gente per fare il turismo. Le due cose cozzano. Però ho sempre la fotta che mi scavalca. Stare giù è negativo perché non ti dà la possibilità di fare live e essere operativo nel movimento. Puoi perdere la bussola e dire “Potrei fare anche altro con molti più risultati”, però non è di risultati che parliamo.
Rido: I risultati sono un’altra cosa.
Tony Zeno: Se voglio soldi, vado a lavorare.
Rido: Sei fortunato ad avere l’opportunità di confrontarti con gente che rappa bene come te, che capisce quello che fai, che ti dà cose da fare, che ti stimola.
Tony Zeno: È la grandissima fortuna di avere la considerazione della gente che ascoltavo. Anche solo poter mandare un messaggio e chiedere “Ti piace questa merdata?”. Capisco che le robe non si fanno così perché si devono fare, bisogna beccarsi, conoscersi a livello umano e capire se c’è la possibilità di una commistione umana e artistica. Per me anche solo il fatto di avere il riconoscimento delle persone che ascolto, da Blobby a Gioielli, Johnny Marsiglia, Mad Buddy, è un lusso inspiegabile. La cosa è culturale, non si parla più di quanti stadi riempio, si tratta di cosa ti arriva. Poi, se uno riempie uno stadio, bene, se non lo riempi, pazienza.
Rido: Grazie mille per la chiacchiera, ci vediamo in giro.
Tony Zeno: Mezza parola.