Di Paola “ZKR” Zukar
AL 39 Settembre 1999
Quasi un anno fa, in uno studio buio e fumoso di Atlanta, … Gli Outkast e Raekwon stanno cucinando per bene il loro prossimo piatto da servire, profumato e saporito, come nessun altro, da mettere in tavola assieme ad “Aquemini”, uno dei capolavori indiscussi dellʼHip Hop di fine millennio (e non provate a dirmi che manca ancora alla vostra collezione…). La traccia è “Skew It On The Bar-B” e il dialogo che la precede dice già tutto dei suoi suoni e degli artisti in produzione…
Raekwon: Stiamo maneggiando la terra in questo momento, e ʻsti altri ne*ri nemmeno lo sanno … Big Boi: Tutti. Nord, sud, est ed ovest. Stiamo facendo questo per lʼHip Hop, in assoluto… Rae: Se non fosse per noi che cerchiamo di illuminare ʻsti ne*ri con ogni tipo di flow e di aroma, il rap non sarebbe lo stesso… Big Boi: La gente non vuole sentire sempre la stessa roba, per ore ed ore… Rae: Non cʼè dubbio. Bisogna essere provocatori, ragazzi! Capite? Mah… Tanto gli altri non capiscono nemmeno… Adesso suoniamo un poʼ di roba da brivido per tutti voi. Big Boi: Da East Point (Atlanta) a Shaolin (Staten Island), sarà meglio che ve ne rendiate conto!
Avanzamento veloce. Ai giorni nostri: un altro studio, per niente buio e nemmeno fumoso, nel cuore di New York, lastricato di dischi oro e platino, con i faccini giustamente sorridenti di Mariah e di Madonna che ti guardano da dietro le cornici. L’Hit Factory è lo studio di registrazione che significa esattamente ciò che evoca il suo nome: una fabbrica di successi. Intanto che si accede alle sue stanze di registrazione, si dà un’occhiata ai nomi in corridoio che sono passati da qui per gorgheggiare in questi studi e per vendere milioni di copie di dischi. Ora, una buona parte degli artisti che fanno intascare all’Hit Factory migliaia di dollari all’ora (!), non gorgheggia più. Molti di quelli che affittano il posto, di mestiere, sputano per giorni nel microfono e lo fanno in rima. Raekwon, inoltre, lo fa meglio di tanti, tanti altri. Ma proprio tanti, intendo. Non lo so… Sarà la salivazione perennemente oltre i limiti naturali, saranno le gabbie d’oro in cui ha rinchiuso i suoi denti, saranno i concetti tutti particolari che gli escono dalla testa, passando attraverso la sua mano, per finire a cascare sulla carta ed infine ancora sui dischi che riempiono le nostre orecchie… Ciò che definisce un buon mc dipende anche molto dai suoi ascoltatori e dal grado di originalità che riescono ad accettare ed assimilare; pur conservando un forte marchio di fabbrica ‘wu-tang’, Raekwon ha sempre messo molto alla prova i suoi seguaci, cercando di portare all’attenzione dei suoi supporter un modo di fluire sul beat che non ricalcasse nessuno dei suoi compari Wu e tantomeno altri mc sul mercato discografico. Il progetto ha funzionato, tutto gli ha dato ragione e i suoi sostenitori hanno continuato a ritrovare in lui ciò che non ha nessun altro.
E, ad esempio, fra i suoi più devoti fans ci sono i Roots. Proprio il supergruppo di Philadelphia, che si trovava in concerto quattro anni fa in Svizzera, interruppe il sound check perché una donna che lavorava per la BMG svizzera aveva portato un cd promo del nuovo lavoro solista di Raekwon, “Only Built 4 Cuban Linx”. Il sound system cominciò allora ad intonare “Starving For Perfection”, l’intro dell’album, ed al momento in cui eravamo arrivati alla traccia 4, “Criminology”, i Roots stavano già rimbalzando sul palco, increduli. “Linx” era semplicemente la controprova vivente della supremazia dei Wu-Tang, e di ognuno dei suoi singoli affiliati, nell’Hip Hop dell’anno 1995. Dopo svariati anni e diversi ‘flavors of the month’, (traducibile come: ‘le ere sonore che contraddistinguono lo svolgersi del tempo nel rap’), oggi sembrano vigere delle ‘ferree leggi di produzione e d’ascolto per l’Hip Hop’, e si direbbe che i Wu-Tang hanno dovuto cedere lo scettro ad altri esperti. Si sente dire in giro che il loro suono non è più superfresco, molte delle cose uscite ultimamente sono troppo ripetitive, non ci mettono più quella grinta di un tempo, ecc, ecc. Non Raekwon. Quando volete, è pronto a strappare la corona a chiunque se la inchiodi in testa, a tirare fuori i suoni e le rime più assurde che si possano immaginare. Anche nel 1999. A quattro anni dal suo ultimo lavoro solista, dopo un bel po’ di apparizioni fulgenti su lavori di altri colleghi in debito, lo Chef ha di nuovo pronto un altro menu di portate ipercaloriche e i miscredenti possono anche chinare il capo e prendere appunti. “Con questa roba qua, con questa roba che stai ascoltando adesso, sto per mostrare e dimostrare al mondo chi sono e quello che ho imparato in questi anni… Per la seconda volta, sono pronto a darvi quello che volete. E anche più di quello che volete, che pretendete da me. Perché una volta che capisci che cosa vuole la gente da te diventi automaticamente un ‘soul controller’, una guida per le anime…” Che cosa vuole la gente da te Rae? “Vogliono ‘sta roba qua! Vogliono ‘sto ne*ro! Perché hanno capito come sono fatto, hanno capito che gli posso dare quello che vogliono. Oggi c’è in giro un mucchio di gente che ha studiato il nostro percorso e che ci conosce molto bene: sanno come la pensiamo e sanno come diciamo le cose, dunque ci considerano un po’ come dei padrini di questa faccenda… Tutto quello che devo fare è dargli da mangiare, devo nutrire gli urbani ed i suburbani allo stesso tempo, americani ed europei. Devo diventare un maestro nell’arte del nutrimento.”
È avvenuto ciò che temevo. L’intervista è iniziata da esattamente due minuti e sono già totalmente in suo possesso; Shallah Raekwon è come un’incantatore di serpenti. Cammina avanti e indietro per la stanza rumorosa, sottolineando le frasi ad effetto ripetendo due, tre, anche quattro volte una parola che gli suona particolarmente bene e sembra che non ci sia differenza ad ascoltarlo su un disco. È di fatto crudo ed attraente come il sushi. “All I’m doing is feeding, feeding, feeding the urban and feeding the suburban at one time…” Piuttosto strano e peculiare è ancora il fatto che lo Chef in questione non abbia nemmeno così bisogno delle domande per completare un’intervista perché comunicare è quello che sa fare meglio e parlare rappresenta la sua dimensione naturale. È il sogno vivente di qualsiasi giornale di musica che riesca però ad arrivare là dove molti non arrivano. Usciamo dallo studio di registrazione dopo aver sentito diverse volte in loop una traccia del nuovo album e, dannazione, se ‘sto suono ribalta ancora. Beat elevati, strofe incastonate alla perfezione come diamanti, un ritornello che non te lo dimentichi neanche a volerlo: il tutto è avvolto in un’armonia che ti può far ballare o che ti può anche far scatenare una rissa. Se avete un’idea per un aggettivo che racchiuda questo concetto, mandatemela per e-mail… “Questa volta li colpirò da ogni angolazione perché li ho studiati per bene; mi sono seduto a riflettere per destreggiare gli eventi con i quali ho a che fare. Ho visto che la gente era rimasta affascinata da “Cuban”, quindi ho aggiunto ancora un po’ di quell’ingrediente, ma ho anche cercato di arrivare al livello successivo, rafforzandone un pochino il sapore. Perché “Cuban” era infarcito di storie di droga, racconti di strada e roba simile. Ma la mia mente si è evoluta e non c’è rimasto molto in me di quel tipo che voleva levarsi dai piedi la gente usando la pistola; ora mi occupo soprattutto di liriche, di rime e di testi pieni zeppi di verità e realtà. Per quanto riguarda le basi… Be’, tu sai che i beat sono la mia specialità.”
Non è un mistero per nessuno che il soprannome di Raekwon sia davvero azzeccato: per tutti i suoi conoscenti lui è lo Chef, il cuoco di lusso che prepara per benino tutti gli ingredienti, amalgama con pazienza la sua pasta e ti lascia salivare in grande stile mentre tieni la lingua penzoloni davanti alla sua vetrina. “Sono sicuro che anche agli italiani piacerà la mia roba e sai perché? Perché io conosco le loro storie, le ho studiate. Staten Island è abitata al 75% da italiani e sono tutti là fuori ad ascoltare la mia roba… E anche perché gli italiani vanno parecchio d’accordo con i neri, lo sapevi? Per quanto ho visto io, vanno più d’accordo con i neri che con gli altri bianchi. Ciò succede in parte perché anche voi italiani comprendete le lotte che abbiamo vissuto e viviamo quotidianamente. Abbiamo svariati principi da condividere, come ad esempio l’importanza della famiglia… E gli italiani non si stancano mai di sottolineare l’importanza di questo fondamento della nostra vita. Questo riconferma ciò che dicevo in precedenza: “Cuban” è stato costruito su questi concetti ripresi in parte anche dall’attitudine italiana con cui si maneggiano gli eventi della vita: la forza di essere uniti, come in una vera famiglia. Un giorno puoi buscarle di santa ragione, ma in nessun modo il giorno dopo potranno dartele se hai la forza della tua famiglia alle spalle. Occorre rispettare questi principi perché sono sacri; io li ho appresi vivendo giorno dopo giorno, guardando un sacco di film di gangster, imparando dai più forti, facendo riferimento ai più forti… Ecco come ho costruito gli anelli della mia catena. Hai presente come è fatto “Cuban Linx”? Quella è roba potente, non puoi romperla, ed è costruita apposta perché non si possa rompere.”
“Sono sicuro che anche agli italiani piacerà la mia roba e sai perché? Perché io conosco le loro storie, le ho studiate. Staten Island è abitata al 75% da italiani e sono tutti là fuori ad ascoltare la mia roba… E anche perché gli italiani vanno parecchio d’accordo con i neri, lo sapevi? Per quanto ho visto io, vanno più d’accordo con i neri che con gli altri bianchi. Ciò succede in parte perché anche voi italiani comprendete le lotte che abbiamo vissuto e viviamo quotidianamente. Abbiamo svariati principi da condividere, come ad esempio l’importanza della famiglia…
A questo punto, in caso di dubbio si può accedere alla traccia 15 di “Only Built 4 Cuban Linx”, l’informativa “Wu-Gambinos”, in modo da chiarire qualsiasi lacuna. Inoltre, sempre per la rubrica “Forse non tutti sanno che…”: le cosiddette ‘cuban linx’ sono quelle catenine e/o bracciali costituite da maglie appiattite di oro o argento battuto, strettamente concatenate fra loro, praticamente indistruttibili che i gioiellieri nostrani chiamano ‘grumette’ e che, nel caso di Raekwon, rappresentano un’evidente metafora con il suo concetto di unità e di continuità. Costruito per durare… Perché è la longevità l’elemento più ricercato nell’Hip Hop di oggi. Insieme all’originalità. Quando ho sentito l’introduzione alla traccia degli Outkast condita dallo Chef, il tutto mi è parso più chiaro che mai e mi rattristisce sempre più la pochezza di certi artisti che si ricoprono di ‘keep it real’ e ‘real Hip Hop’ solo perché non hanno nuovi concetti da sviluppare o altri boom-cha da far girare in loop ad oltranza… “La mia cooperazione con Outkast ha molto a che fare con il music business di oggi. Là fuori ci sono un mucchio di persone che guardano a noi con rispetto, che ci vedono come dei fondatori, come gente che ha riportato alla luce un certo gusto nel fare musica. Ed io sento che si deve sempre rispettare coloro che esistevano prima di noi, io rispetto tutta la gente che apparteneva alla Old School, neri che non sono nemmeno più sulla cresta dell’onda, ma che io saluto con il mio più profondo rispetto dicendogli ‘grazie, amico’; se non fosse per loro io non sarei qui, l’Hip Hop non sarebbe qui. Il problema di oggi è che nessuno riconosce quelli che sono venuti prima, perché è una questione di egocentrismo. Certa gente non vuole vedere degli altri che se la passano bene perché sono solamente invidiosi e gelosi di quello che non hanno e che non potranno mai avere. La società di oggi è costruita in maniera strana; scommetto che se tu vieni da un determinato quartiere, la gente che ti abita a fianco avrà certe opinioni sul fatto che hai a che fare con dei neri, giusto? Purtroppo è questo ciò che hanno costruito e la società che ci rinchiude è fatta così: gira attorno a invidia, lussuria, avarizia ed odio, costantemente. Ma tu devi far sapere che non ti occupi di questa robaccia e che sei un ne*ro che guarda alla sostanza o, per quanto ti riguarda, sei una donna che guarda avanti e che non perde di vista il suo obiettivo…”
Ed io sento che si deve sempre rispettare coloro che esistevano prima di noi, io rispetto tutta la gente che apparteneva alla Old School, neri che non sono nemmeno più sulla cresta dell’onda, ma che io saluto con il mio più profondo rispetto dicendogli ‘grazie, amico’; se non fosse per loro io non sarei qui, l’Hip Hop non sarebbe qui. Il problema di oggi è che nessuno riconosce quelli che sono venuti prima, perché è una questione di egocentrismo.
Pur utilizzando un’accozzaglia di ispirazioni tratte da decine di film di fantascienza, “The Matrix” ha comunque azzeccato almeno una delle sue visioni deliranti: la società che ci rinchiude, come ha già detto Raekwon, sembra davvero essere costruita apposta per far galleggiare la nostra mente dentro ad una serie praticamente infinita di immagini surreali in cui il caos tenta di assumere una logica, in cui la follia deve essere accettabile. Città come New York, Parigi, San Paolo, e Milano sono seriamente invivibili, ma l’uomo, come lo scarafaggio, ha una capacità davvero inquietante di adattabilità e di sfruttamento del territorio, qualunque esso sia. Dai ghiacci dell’Artico fino al deserto sahariano, l’uomo si è adattato ad ogni tipo di esistenza e non fanno eccezione le nostre metropoli. Ma la sopravvivenza non è semplice. Una delle tracce in assoluto più significative dell’Hip Hop di ogni tempo va così: ‘What do you believe in? Heaven or hell? You don’t believe in heaven ‘cos we’re living in hell…’ (‘In che cosa credi? Paradiso o inferno? Non credi nel paradiso perché viviamo all’inferno…’ “Heaven & Hell” da “Only Built 4 Cuban Linx”). Spiega dunque Rae: “Per quanto riguarda la civiltà moderna, sembra che siamo divisi a metà fra quelli che amano i soldi e quelli che non hanno un futuro; tutto quello che posso dimostrare è che siamo intrappolati fra paradiso ed inferno… Possiamo intravedere l’esistenza di un paradiso e possiamo anche cercare di costruirlo, ma siamo sempre intrappolati in quest’inferno, poiché, dopotutto, dobbiamo pur sempre tornare a casa e a quel fottuto casino che hanno messo in piedi prima di noi. Vorrei sottolineare che io parlo per tutti, ma l’80% del mio affanno è per la gente della strada, per tutti quelli che non hanno avuto la possibilità di farcela. Impara dalla cassetta, figliolo…”
Già… Per molti di quelli che sono cresciuti sulla strada, il rap è un corso di sopravvivenza su nastro, da memorizzare ed imparare. Lezione 1: ascolta e ripeti… “Io in passato ho davvero sognato di diventare chi sono oggi, ma ti assicuro che non finisco mai di stupirmi di fronte alle infinite possibilità che mi si aprono davanti ogni giorno della mia vita. C’è così tanto amore intorno a me che mi sento portato ad amare a mia volta. Questo amore, per me come artista, mi fa capire che la gente sente nel cuore ciò che dico, la gente sente il mio dolore attraverso la mia musica e le mie parole; ciò significa che se un giorno mi perdessi, perfino in Italia, potrei andare girovagare finché qualcuno mi prenderebbe con sé.” Immaginatevi ora un piccolo Raekwon, un mocciosetto in bicicletta come quello nel video di “Can It Be All So Simple”, che si guarda in giro per capire da che parte deve andare… Quindici anni di lotte per la strada gli hanno dato quella sicurezza che non si trova spesso negli occhi di chi diventa artista per scelta piuttosto che per necessità. “La linea di fondo è che si deve sempre essere se stessi… Lasciate stare le cose alle quali non riuscite ad arrivare. La mia possibilità adesso è quella di poter restare me stesso, poter scegliere di essere semplicemente me stesso. È evidente che ci sono degli alti e bassi collegati al fatto di avere un certo tipo di successo, ma allo stesso tempo si deve imparare a bilanciare ‘sta situazione, si deve imparare a controllare questi elementi. Io posso dire di aver imparato a gestire queste emozioni grazie al mio passato di ne*ro sulla strada e, per me, la parola chiave è ‘gangster’. Ho imparato a fare quello che dovevo fare, menare le mani per riuscire a mangiare, i piccoli traffici, fino ad arrivare al completo cambiamento della mia esistenza. Mi sono reso conto che, una volta, costruivo la negatività, mentre ora la sto distruggendo, ma ciò non significa che io non sia sempre me stesso; era la vita che vivevo che mi aveva portato a costruirmi intorno tutta questa negatività, perché nessuno mi regalava niente allora… Qualche volta devi passare attraverso le stronzate per arrivare a qualcosa di positivo.”
La linea di fondo è che si deve sempre essere se stessi… Lasciate stare le cose alle quali non riuscite ad arrivare. La mia possibilità adesso è quella di poter restare me stesso, poter scegliere di essere semplicemente me stesso.
Quando uscì “Cuban” una parte della società americana rimase scandalizzata dalle immagini della copertina interna che ritraevano lo Chef, in cucina, mentre dosava scrupolosamente degli ingredienti per preparare ‘qualcosa’… Naturalmente le conclusioni furono rapidissime: c’era in circolazione un rapper fotografato in mutande sul suo album solista mentre prepara il crack, la droga più povera e potente che i ghetti abbiano mai conosciuto… “Quando ho utilizzato quella fotografia, volevo lanciare un messaggio ambivalente e controverso: non si trattava di dire ‘ehi, ragazzi, sono un duro, guardatemi mentre mi dedico alla preparazione di sostanze stupefacenti con estrema tranquillità’… Quello ritratto in foto ero io mentre cuocevo in umido qualsiasi cosa che volevo cuocere in umido! Si trattava di qualcosa che avevo dovuto fare tempo addietro e che mi aveva regalato il mio soprannome, Chef. Io cucino costantemente migliaia di idee, ma la gente che mi ha conosciuto per strada ha pensato che quello fosse crack, anche se avrebbe potuto essere qualsiasi altra cosa. In quel momento non si trattava di crack, no, ma il motivo era lo stesso… In quella foto, sul mio album, stavo cucinando tutto quello in cui credevo. Si trattava di preparare una nuova pozione ed era esattamente ciò che stavo facendo. Ma naturalmente la gente che mi conosceva da prima ha fatto due più due… Tutto quello che faccio in musica dipende dalla presa di coscienza che al mondo esiste un’energia positiva ed un’energia negativa; non resta che separarle e lottare per il miglioramento. Non posso rischiare di mettermi di nuovo nei guai e se per caso capissi che il posto in cui mi trovo è pericoloso per me, dovrei allontanarmi. Devo pensare e focalizzare la mia mente su ciò che sento, dentro, e devo riflettere sui motivi per cui sto facendo questa roba: e la risposta è che io lo faccio per potermi prendere cura di mia madre, delle mie sorelle, dei miei fratelli, dei miei amici e della mia famiglia, di tutta la gente che mi appoggia…”
E così come quattro anni fa, Raekwon non era rimasto solo nella concezione del suo primo album grazie al supporto di Ghostface Killah, anche questa volta lo Chef si porta in viaggio addirittura un gruppo completo di mc da battaglia che risponde al nome di American Cream Team… “Loro sono la mia nuova alleanza di distruzione… Loro sono una fottuta reincarnazione di ciò che è il Wu-Tang Clan, capisci cosa intendo? Tutti hanno un’immagine propria e sono tutti dei ne*ri veri, fino in fondo. Sapranno certamente raccontare la loro versione dei fatti. Se mi conosci un pochino sai già come la penso circa la musica e sul fatto che cerco di bruciare qualsiasi cosa io tocchi: quindi dovresti sapere automaticamente che questi ne*ri arriveranno dove devono arrivare. Ma io vorrei comunque che la gente si mettesse con calma ad ascoltarli, senza prendere subito per buona la mia parola… Io sono, diciamo così, il loro allenatore, in questo caso faccio il Pat Riley della situazione, per portarli al livello necessario al quale devono arrivare. Loro hanno sicuramente un buon potenziale ed io sono soltanto il ne*ro che gli mostra il progetto, il disegno di partenza…”
Per raccontarla in breve, Shallah Raekwon è di sicuro il personaggio in assoluto più conosciuto e, allo stesso tempo, più umile che io abbia mai incontrato: ha l’entusiasmo di un principiante e l’esperienza di un veterano ed è un giovane vecchio che ti incanta per il suo modo di fare affabile e la sua parlata piena di stile che hai ascoltato più e più volte su vinile. Dannazione se è vero che l’Hip Hop è una passione che ti porti dentro inspiegabilmente; ed è altrettanto vero che è proprio la gente come Raekwon che riaccende la fiamma quando questa tenta di affievolirsi… Ma da dove prende lui questa ispirazione che gli dà l’energia per regalare agli altri certe sensazioni? “Vuoi sapere da dove traggo la mia maggiore ispirazione? La prendo dalla gente che mi sa ispirare. Dalla gente come te, gente che mi dà la carica per rientrare in studio dopo un’intervista come questa con un’enorme voglia di creare e di raccogliere i soldi. Vorrei che la prossima volta che ci vediamo tu abbia lo stesso entusiasmo nel guardarmi e nel parlare con me, non voglio che tu torni qui la prossima volta e mi dici, ‘oh Rae, sono proprio delusa…’. Voglio che tu mi dica ancora una volta ‘Rae, tu sai veramente fare per bene la tua roba, ci dobbiamo rincontrare ancora’. Il rap è un lavoro che io adoro, mi rendo conto che so farlo bene, e non mi va proprio più di correre in giro a raccogliere delle bustine da terra, capisci cosa intendo? Sono già passato attraverso un sacco di brutte storie. È ora di ricostruire… Quando ho cominciato a scrivere avevo tredici anni, ero un fan di altri gruppi e l’ho presa con grande calma; sapevo che non avrei ottenuto il successo in una settimana ed all’inizio presi il rap come un hobby. Ecco quello che dovrebbe essere il rap per molti ragazzi: un hobby, oltre che una via di educazione. Solo in seguito, col tempo, impari ad educarti da solo attraverso la musica… Ho mollato la scuola piuttosto presto e riconosco il potere che ha avuto il rap sulla mia educazione. L’Hip Hop ha fatto davvero molto per me ed ora è venuto il tempo di ricostruire. Di restituire con gli interessi ciò che ho preso in prestito. A parte quello che hai sentito, non voglio dirti niente del nuovo disco perché voglio che si scopra da sé. Posso dirti che il titolo sarà “Immobiliarity”. Mentre tutti intendono il termine come la capitalizzazione dei propri investimenti, per me significa ‘I Master More Opponents By Implementing Loyalty And Respect In The Youngsters’, io controllo i miei avversari usando la lealtà ed il rispetto nei giovani. E’ la prova che la forza ed il potere che ho acquisito con il mio primo disco va condivisa con gli altri, ora voglio spezzare il pane con tutti coloro che mi hanno voluto bene. Se sei una parte di me, avrai una parte della mia roba. Qui si tratta di espandersi assieme. Di investire nel rap sul serio. Come dicevo, è ora di ricostruire… Insieme.”