
Finalmente Ghemon per Aelle Magazine, ce l’abbiamo fatta, figata!
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Sono molto contento!
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Esatto, sono cerchi che si chiudono questi!
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Madonna mia, 30 anni dopo quasi!
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Ci sta!
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Senti, partiamo subito dalla fine, dallo spettacolo teatrale, dall’ultima cosa che hai fatto a livello pubblico. Mi hai detto che dentro lì c’è comunque tutto!
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È una delle cose più rap che ho fatto in vita mia, cioè avrei voluto anche che tutti quanti, quelli più grandi di me della tua generazione, potessero vederlo perché sono andato in teatro sicuramente a raccontare cose di storia mia, a far ridere, perché è comunque uno spettacolo di stand-up comedy, ma è uno spettacolo che inizia parlando di come ho iniziato con il rap e si chiude con un mio pezzo rap, si chiude il rap panda, ha proprio una circolarità.
E pensare che magari sarei arrivato nei teatri d’Italia a raccontare una cosa che per noi era, non solo di nicchia, ma una cosa tutta nostra, autocostruita, che non piaceva a nessuno, che nessuno voleva nei locali, e oggi vai in teatro e gli racconti alla signora di 70 anni che il rap è il massimo dell’espressività, che è il massimo della creatività. La prima regola però è non copiare, è essere te stesso, che pure dal nulla puoi creare qualcosa.
Se lo dico a me ragazzino posso essere fiero.
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C’è una cosa che mi ha sempre impressionato della tua carriera, che poi adesso possiamo dire che è eclettismo, ma è quella ricerca di se stessi, della propria espressività.
Tu sei partito dal rap, hai deciso di imparare a cantare dopo e di esprimerti anche col canto, poi è arrivata la recitazione, però non una recitazione attoriale, molto settoriale anche in quel caso, così come è stato il canto nel senso non hai deciso di andare a cantare perché mi piace la lirica, era un canto che va vicino al mondo del soul, così come la comicità va in una direzione che è quella della stand-up comedy, quindi come al solito l’essenza del far ridere, un microfono e il pubblico.
Che cosa c’è in questo percorso che ancora non hai esplorato e che ti piacerebbe raggiungere?
Difficile dirlo adesso perché effettivamente queste erano tre aree molto importanti per me, quella della stand-up è ancora solo all’inizio, anche se come ascoltatore io ci so dietro veramente da tanto.
La prima volta che, io già da due o tre anni guardavo, ma la prima volta che sono andato consapevole a New York al Comedy Cellar, tra l’altro mi sono tirato dietro bassi, me lo ricordo benissimo, era il 2012, quindi comunque seguo assiduamente anche quel mondo da più di dieci anni e lì c’è molto da scoprire, perché al di là della battuta poi a un certo punto devi capire non tanto cosa può fare la stand-up per te, ma tu cosa puoi fare per la stand-up, cioè che cosa puoi aggiungere, qual è il tuo punto di vista.
Quindi per adesso quello e poi dopo, non lo so, la recitazione sarebbe anche una cosa divertente per poter una volta ogni tanto anche non essere me stesso, non parlare sempre solo della mia storia, o avere il mio filtro, ma poter anche essere qualcun altro sarebbe divertente.
Che è una cosa che tra l’altro nel rap è rara, no?
Nel rap siamo chiamati a raccontare storie che ci appartengono, che siano molto vicine, alquanto meno.
Invece il bello della recitazione è proprio essere veramente ciò che vuoi e chi vuoi ogni volta.
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Ci vuole un talento tra lo studio, come per tutto in realtà, come per tutto.
Però questo già mi ha insegnato l’hip hop, cioè veramente io vengo da una famiglia di musicisti, non c’era nessuno ad Avellino quando ho iniziato, se non i miei amici con cui condividevo.
Io scherzando, questa non è una bella battuta, ma dicevo che l’hip hop è come la coop, cioè sei tu.
Cioè sei tu che devi creare…
Noi non avevamo nulla, non avevamo i marker con la punta doppia, andavamo a prendere il pratico, che è la cosa per rimettere, diciamo, sulle scarpe di pelle, per rimettergli il colore e ci sversavamo dentro delle robe prese al ferramenta, in modo che utilizzavamo quella punta così grossa per andare a tegare…. Quindi è creatività allo stato puro.
Di conseguenza con quell’attitudine, cioè quegli occhiali me li sono portati in tutto quello che ho fatto.
Nel canto, se sono andato a Sanremo, piuttosto che nella stand-up, ho sempre guardato questo, pensando che potevo trovare un modo di trovare la mia strada anche se ero a zero.
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Ok, c’è una cosa che secondo me oltre questa partenza dal basso, ti ha dato il rap, l’hip hop, la scrittura in generale, che è la parte introspettiva.
Da rapper, ai tempi di Game On Science, eri conosciuto per i tuoi ascolti, per la tua maniera di fare musica, per raccontare te stesso in maniera abbastanza introspettiva.
La scrittura ti ha aiutato anche in quella cosa?
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Sì, sì.
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Hai scritto libri sul fatto di guardarsi, analizzarsi e di girare intorno alle proprie paure e analizzarle?
Ora ne sto scrivendo un altro, figurati.
Ma forse proprio per raccontare l’involucro che mi ha portato a fare lo spettacolo piuttosto che a correre una maratona.
Cioè, parto prettamente da zero e se io sono partito da zero e in qualche maniera ho trovato il verso, anche tu in qualsiasi altro campo sappi che incontrerai le stesse difficoltà e anche gli stessi gasamenti.
Quindi non sto scrivendo un prontuario per dire “fai come me”, però per condividere un po’.
La mia esperienza ovviamente nello scrivere il rap mi ha servito e mi ha aiutato su tutto.
Mi ha aiutato sulla poetica, mi ha aiutato sul ritmo.
Se devo pensare a una cosa che trovo in comune tra il rap, la maniera in cui ho cercato di fare la parte melodica della mia musica e la stand-up è sempre il ritmo.
Non ho mai cercato, pur avendo una tradizione molto italiana, il nostro paese musicalmente è una tradizione melodica che è proprio difficile da togliere e che tra l’altro è una roba un po’ da tecnici, ma è basata sulla struttura ritmica dell’italiano, che non ha le tronche.
Quindi ogni volta che vuoi fare una melodia in italiano, la melodia risente sempre del fatto che è in italiano.
Come il rap però mi aveva costretto a imparare il ritmo, quel ritmo io ho cercato di portarmelo anche sempre quando cantavo.
Come dice Stanis dentro Boris, non doveva essere troppo italiano.
E questo me lo sono un po’ riportato anche nella stand-up, perché la stand-up deve avere un ritmo, non deve andare lungo, le pause non sono come fare le rime, devi sapere quando le devi dire, devi sapere quando devi stare fermo.
Quindi comunque alla fine l’hip hop è stata la cosa più importante che mi è capitata nella vita ed eccolo ancora con me.
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Ok, un altro posto per far girare questo filo, un altro anello dove infilarsi è quello dello sport e della corsa. Ovviamente non hai scelto uno sport semplice, cioè la corsa è il più istintivo di tutti e il più complicato di tutti e poi hai scelto la disciplina più completa che è la maratona.
Hai parlato prima di incontrare delle difficoltà nella vita, la maratona di solito l’hai usata proprio come metafora per dire non sono quelle tre ore, quelle due ore e mezza, quelle quattro ore della tua vita, ma sono le difficoltà che incontri nel mezzo, come le risolvi, gli imprevisti, i previsti che sai che succederanno, te stesso, sapere di arrivare alla fine piangendo di felicità perché sei arrivato alla fine e ti sei allenato dieci mesi per fare quella cosa, per prendere la zero.
Per cui vuol dire tanto ed è un gesto che hai appena descritto in tutte le altre cose che hai fatto.
E qui in qualche maniera anche la maratona è stata un percorso.
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È vero.
Non so se ha cercato lei me o se io ho cercato lei, cioè non so se è per una questione di attitudine di vita, perché ovviamente a me lo sport è sempre piaciuto e avevo una predilezione per il basket.
Solo che diventava sempre più difficile per me uscire, andare al campetto o mettermi a giocare con magari ragazzi di vent’anni più giovani di me che saltano il triplo e me le danno.
Avevo però bisogno ogni tanto di uscire e forse arriva anche un momento nella tua vita in cui tu hai bisogno di stare un po’ di più con i tuoi pensieri, ma non dentro casa ma nello spazio e di affrontarli…. Sicuramente nella corsa questa cosa si fa.
Era uno sport che odiavo prima, lo detestavo, anche qua ho iniziato un po’ per caso.
Il suggerimento di un ragazzo con cui molto spesso mi allenavo in palestra e poi una cosa ha chiamato l’altra, ho capito quanto mi facesse stare bene.
Poi è stata la metafora di tutto, come hai detto tu, perché c’è la gioia, scopri delle cose di te che non sai, c’è una curva di apprendimento, cioè inizi a andare veloce e dici “cazzo ma io sono pure veloce, come è possibile?”
Poi dopo però sbatti, magari ti fai male, ti riprendi, oppure vai a correre in gruppo e capisci come è divertente, poi c’è il giorno della gara ed è divertente anche quello, è proprio la vita riassunta.
Certo, c’è tanto confronto coi propri limiti, che è una cosa che lo sport ti dà e che non vuol dire che sei più debole, vuol dire che hai un perimetro dove poterti esprimere che diventa sempre più chiaro.
E pur stringendosi quel perimetro col passare dell’età, in realtà ci trovi dentro delle cose nuove, un perimetro ricchissimo.
Io sicuramente ci ho trovato, un’altra volta in questo spettacolo, a livello metaforico nella corsa, ci ho trovato che tutte le cose importanti della mia vita non sono mai state degli sprint, sono sempre state delle maratone, quindi richiedevano tempo, pazienza, allenamento, perfezionamento del gesto e poi, forse la cosa più importante, cercare di preoccuparmi del mio ritmo e non di quello degli altri, che non è una cosa facile nei tempi in cui viviamo, visto che sui social c’è sempre qualcun altro che va più veloce di te, quindi è un bel insegnamento.
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E poi ci vedo tanta caparbietà che hai dimostrato con la tua carriera o le tue carriere, se poi vogliamo dargli delle sfumature diverse anche se poi è una sola.
Sì, sì, però per me è una.
Ghemon e Gianluca, sono una persona sola, una carriera sola.
Per me è una e la corsa mi ha allenato, diciamo, la parte della caparbietà, perché quando fai uno sport, diciamo, di resistenza, corri, vai in bici o altre cose, piove, nevica, è il giorno del tuo compleanno, è Natale, devi uscire, e questo ti fa avere meno scuse anche nelle altre cose.
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Assolutamente. Invece io sono sempre stato molto incuriosito dal Ghemon ” ascoltatore”. Ci siamo parlati più volte negli anni parlando di musica fatta da altri, musica fatta meravigliosamente, di produttori di posti piccoli, su scene piccole, però super, che ci hanno aperto la mente, no?
E ci hai confessato di essere anche un cultore della lettura dell’hip hop, collezionista di Aelle, ed è uno dei motivi per cui siamo qui ed è bello parlarne.
Sicuramente leggevi “The Source” e “Rapages”, perché quel guardare all’estero era anche interessante da quel punto di vista.
Sì, ovviamente.
E poi in quel momento, non lo so, sembrava… Come aprire un almanacco dei fumetti anche quando vedevi The Source, magari, perché sembrava veramente un mondo lontano.
Molto bello.
Aelle, ve lo stavo dicendo prima fuori dalle camere, ho iniziato a capire, per fortuito caso, perché sapevo che esistesse, e lo sapevo dalla radio, lo sapevo da One Two One Two, forse da “Venerdì Reppa” lo sapevo, ecco, One Two One Two è diventato molto tempo dopo che esisteva, ma era una piccola città di provincia, come molti, e ovviamente parliamo di tempi in cui internet non c’era, perché questo è difficile da spiegare, ragazzi, ma non c’era internet, quindi ti serviva una cosa e qualcuno ti doveva dire che esisteva.
E per trovare la prima copia di Aelle, secondo me, ci ho messo 4-5 mesi.
L’ho trovata ed era ancora bimestrale, non usciva tutti i mesi.
Quindi c’hai quella cosa lì con te e non hai altro per due mesi, ma io sapevo tutte le parole a memoria, quindi ti attaccavi molto alle informazioni che c’erano.
Era divertente perché in quel periodo dicevo, “Ma riuscirò a capire mai che cos’è East Coast, che cos’è West Coast, ascoltando un pezzo?”
Pensa quanto ero… perché veramente nessuno te le dava, queste informazioni…. Poi passano altri mesi, unisci un altro puntino, trovi un altro numero, compri un altro disco, e devi da’ lontano un altro e dici, “Ma questo ha comprato i pantaloni un po’ più larghi del dovuto o è uno dei nostri?”
Ci parli, si crea comunità.
Era una cosa bella, più innocente ma bella.
E anche oggi non posso dire che sia brutto perché è quello che è successo con lo streaming.
Mi alzo e posso ascoltare qualsiasi canzone del mondo, è una fortuna.
Dall’altro lato va tutto più in fretta e rimane molto di meno.
Ecco, all’epoca avevamo meno cose, però quelle che c’erano rimanevano di più.
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Un’altra delle cose della circolarità che mi ha stupito è che stai stampando, stiamo rubando il tuo tempo oggi alla stampa del vinile, dello spettacolo teatrale, dello spettacolo di stand-up, ed è un’altra cosa circolare.
Siamo nati nella vinilera, il passaggio tra vinile e CD, e adesso invece il vinile si stampa, che è una meraviglia.
C’è fatica, devi andare in stampa mesi prima perché le stamperie sono…
Volete fare un business?
Apritevi una stamperia di vinile.
Questo è sicuro perché ce ne richiede…
Tanto i CD sono diventati una porzione minuscola, c’è lo streaming, se uno vuole una cosa fisica, vuole, eh, Rai e il vinile, roanno.
Poi il vinile è bello da ascoltare.
Sto facendo per la mia prima volta il cosiddetto comedy album, cioè l’album del mio spettacolo di stand-up, quindi è la registrazione del mio spettacolo agli Arcimboldi dal vivo, solo che lo spettacolo conteneva delle canzoni e non conteneva le canzoni dei miei album precedenti, perché pure qua ho detto “Ok, non variamo, non bariamo”.
Poi questa è proprio una roba da scarsi, io non devo tirare la gente a teatro a vedermi cantandogli le canzoni prima così le faccio fesse e contenti, e dopo mi faccio le mie battute.
Non funziona così.
Lo spettacolo deve avere della musica che loro non conoscono, che è una prosecuzione di quello che dico, magari una prosecuzione seria di quello che dico nei monologhi divertenti, e la gente potrà venire qua a vederlo e non lo troverà finché non finisce il tour.
E così è stato, l’abbiamo registrato, le persone non mettevano i video online, perché chiedevo all’inizio di non metterli, quindi tutto è andato sul passaparola e ora, proprio oggi, stiamo finendo di editare, mixare e uscire al finire di questo spettacolo.
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Bene, ma ormai hai mille frecce al tuo arco, tante capacità, la scrittura, il rap, il canto, la recitazione, l’ambito stand-up. What’s next? Che cosa fa Gaemon quando non corre a livello di espressione?
Non lo so, questa è una cosa che sempre penso mi venga dall’hip hop.
Cerco di migliorare un pochino le cose in cui mi sento più indietro, dove sento che c’è margine di miglioramento, ma anche se devo scrivere una strofa di rap adesso, tutt’ora dico, faccio la prima cosa e ne faccio quattro.
Ma non sarebbe giusto che per un mese, due mesi, mi mettessi a scrivere di continuo, a riaccendere i motori per andare a destra, andare a sinistra.
Il fatto è che la bicicletta la sopporto e quando mi sono riscaldato non ho problemi, quindi impegno sulle cose che in quel momento ritengo che hanno bisogno di un piccolo passo in avanti.
Anche perché tu sei abituato tanto ad andare fuori dalla tua zona di comfort, e quella tua zona di comfort personale è diventata la tua zona di comfort.
Per cui sai che se non sei in perfetto equilibrio, sei nel posto giusto, se sei un po’ sbilanciato forse è giusto.
E questo mi ha dato ogni tanto un po’ di noia agli spettatori, ma poi dopo è stato superato il momento della confusione, è arrivato il “ah, ma la sua roba è che lui cambia sempre, questa è la sua caratteristica”.
In realtà sì, però la cosa forse migliore che mi hanno detto le persone che mi hanno seguito dal mio primo pezzo fino al mio ultimo spettacolo, i fan che ci sono sempre stati, e abbiamo ritrovato sempre gli stessi contenuti, la stessa persona, declinati diciamo…. Certo.
È la coerenza che io cercavo.
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Esatto, perché la coerenza non è giusto che la si chieda agli artisti, dovremmo chiederla ai politici o a chi fa in altre cose.
Però è anche vero che il tuo eclettismo non è un eclettismo della ricerca di qualcosa di diverso per forza, ma di qualcosa di diverso all’interno di te stesso, una trasfaccettatura della tua personalità, della tua maniera di fare, per cui ci sta.
Per noi che ti seguiamo dall’inizio era tutto in pipeline.
Sì, per me lo era.
Poi il Biotico è un’ala in più del locale, cioè dice “ma tu facevi solo la pizza, adesso sei messo a fare anche il sushi”.
Come il sushi?
Buono?
Ogni tanto faccio pure la pizza.
Certo, ci sta.
Allora in bocca al lupo per il sushi e la pizza.
Viva il lupo