Nitro – L’intervista con Rido

AL NITRO YOUTUBE

 –Nitro su Aelle Magazine. 

– Bella, bella.

 – È un piacere averti qui.
Grazie.

– Anche perché, uno, siamo nel tuo quartiere.

Sì.

 –Che è Bicocca, Milano. Da quanto tempo è che sei qui?

 Adesso sono 5 anni. Diciamo che io sono sempre stato nella parte di Nolo. All’inizio, quando sono arrivato a Milano, stavo a Pasteur, quelle zone lì. Poi sono andato in quartiere Adriano, che è qua dietro più o meno, e adesso sono qua a Bicocca. – Sempre a Milano Nord. – Sempre a Milano Nord.

 – E ti trovi bene?

So che siamo qui anche perché è questo il posto che ha cominciato a rappresentarti.

 – C’è un posto dove esci, dove ti becchi per ragazzi.

 Sì, sì, io trovo che sia uno degli ultimi quartieri di Milano che è molto vivibile. L’atmosfera è sempre sia di città ma anche un po’ di paese. A me mi fa un attimo sentire a casa mia. Quindi preferisco questi ambienti qua, che sono un po’ più tranquilli, con ragazzi giovani, che c’è l’università qua dietro. C’è anche una scuola di musicisti qui, quindi sono sempre in mezzo musicisti a parlare di musica o universitari a parlare di cose interessanti. Quindi di base sì, mi piace stare qua.

 –È un bello stimolo. Io mi ricordo di una chiacchiera che abbiamo fatto una decina di anni fa che mi raccontavi di quando andavi a scuola ascoltando il rap italiano nelle cuffie. E mi immagino che un po’ quella ricerca di scambio sia molto forte per chi viene dalla provincia in città. Cosa che è capitato anche a me ormai anni fa.Però è interessante quello, no?Che cosa cerchi dalla città? Cerchi quella tipologia di scambio e di interazione con le persone?

 Assolutamente. Secondo me cerchi anche di andare in un posto dove il ritmo si confà un po’ più a quello a cui tu vorresti andare e che magari il contesto da cui vieni non si adatta a quel ritmo, diciamo. La prima volta che sono venuto qua a Milano mi sono stupito di quanto la gente producesse le cose, facesse le cose in fretta e ho cominciato ad andare a quel ritmo. Adesso devo andare a New York perché voglio vedere ancora più, diciamo, non velocità perché le cose fatte di fretta non mi piacciono, però efficienza. Cioè, proprio impuntarsi su una cosa e finché non è finita stare lì, dedizione, diciamo.

– E c’è anche un discorso che è legato anche alla tua tipologia di rap, che è molto adrenalinico, no?E quindi hai bisogno di stare in un ambiente stimolante.

 Milano è stimolante dal punto di vista intellettuale, l’hai detto, quartieri universitari, grandi scambi, bar dove non vai soltanto a berti la birretta a fine giornata, ma dove vai a parlare con le persone, gli urban sports, skate, tutto il resto, quindi anche adrenalina nei conflitti di decimeno.

 – Certo, c’è anche lo skate park qua vicino.

Quella cosa è ancora importante. Ed è un immaginario che ha costruito la storia dell’hip hop in maniera fondamentale, direi.

 Assolutamente.

 – C’è ancora anche per te, nelle cose che stai facendo adesso, questa ricerca verso qualcosa di veloce, adrenalinico, fatto di scambi?

Beh, sì. Diciamo che io cerco in ogni modo di trovare nuovi modi di distrarre la mia testa e di dargli sempre stimoli nuovi, attività nuove. Quindi ogni tanto vado allo skate park, giro con i roller, ogni tanto vado in kayak sul lago a remare. Diciamo che a me proprio piace lo sport adrenalinico, la cosa un po’ più estrema, diciamo, perché mi tiene la testa… me la toglie, diciamo, dai pensieri ossessivi o dalle cose che devo fare, mi dà tempo di respirare un attimo e di riorganizzarle meglio dopo, quando smetto di fare l’attività fisica, in questo caso. Però, ecco, sì, è difficile. L’adrenalina è proprio, diciamo, la mia dipendenza più grande, perché proprio da quando sono piccolo sono abituato a fare cose adrenaliniche, sono uno di quei ragazzini cresciuti sulla bicicletta, sempre in giro, e quindi ecco… la noia era tanta, bisognava in qualche modo anestetizzare, diciamo, questa noia, questo vuoto.

 – C’è anche un po’ la dinamica del viaggio, no? Hai descritto tutti i sport di movimento, non ci distrassi, non giochi a tennis.

 No, no, ho giocato, ma non…

 – Cose che ti fanno muovere, aria in faccia sempre.

 Sì, sì, sì, assolutamente. Sci, nuoto, kayak, roller, tutto ciò che comunque include il movimento e la velocità, tranne i motori. I motori è proprio una cosa che a me non interessa, la macchina, la moto, proprio, non mi interessa proprio. Ma sono mondi dove devi spingere tu, perché è la forza che ci mette, è proprio quella tua fisica che ti mette a diventare fatto, qui è importante.

 – Tutto per fare un parallelismo sempre con il rap, no? Perché in fondo a queste cose tu hai.

Rispecchia molto come sono io, il tipo di musica che faccio rispecchia molto come sono in realtà, effettivamente. Adesso che mi fai notare questi parallelismi.

È una cosa su cui mi sento molto in linea anch’io, l’ho sempre concepita così. È una ricerca veramente di uno stimolo che viene da fuori, che interiorizzi, che ridai all’esterno con energia, con adrenalina e con tanta forza. Perché poi è il meglio dei due mondi. Il meglio che ti dà la vita in provincia più attaccata alla natura, e il meglio che ti dà la città più attaccata alle relazioni sociali, alla possibilità di beccare gente che altrimenti non vedresti.

 Assolutamente sì, assolutamente sì. Direi che Milano in questa cosa comunque è ancora un po’ la capitale d’Italia per quanto riguarda la creatività. Cioè qui puoi rendere possibili le cose, puoi avere un meeting ogni giorno riguardante un certo tipo di progetto. Comunque le persone vengono qui perché hanno voglia di fare. Già il fatto che sono qua, hai tolto tre quarti delle persone che non hanno voglia di fare, capito? O che comunque non hanno la possibilità per esempio di essere qua, che quello è ingiusto. Però comunque sia, adesso vabbè, è un altro tempo. Quando sono venuto qua io era ancora un po’ più possibile magari per un ragazzo pensare di avere pochi soldi in tasca e cercare in qualche modo di arrivare ogni volta a fine mese con l’affitto, con i inquilini, situazioni di sovraffollamento.

 – L’abbiamo passato un po’ tutti queste cose penso. Tu sei a Milano da quasi una decina d’anni ormai?

12. Dal 2012, sì.

 – Il campionato è cambiato dal 2012 ad adesso. Cioè la punta è sempre quella, il vertice della piramide è sempre quello, però sempre più gente cerca di raggiungerlo, sempre più rappers cercano di raggiungerlo.

 Certo, certo.

Ci sa che ci sia anche questa difficoltà, no? Di fare le cose, che non le rende impossibili perché effettivamente la città non è neanche l’unica forma esistente, luogo esistente per poter fare l’epoca.

No, no, fortunatamente no. Però a Milano, a differenza delle altre città d’Italia, in questo momento ha avuto la fortuna di portare a sé tantissima gente che fa musica e da posti diversi d’Italia e d’Europa e del mondo.

– Per cui c’è uno scambio anche su quel terreno del fare musica sempre più, sempre più forte, no?

Almeno per me, per quelli che sono i miei interessi, cioè io vengo da un posto dove, adesso ovviamente sarà anche lì, un po’ come qui, ma quando io ero piccolo in Veneto c’era una serata rap al mese e andavi a una serata rap al mese, qui c’è sempre un evento riguardante più o meno quello che ti piace, se non c’è il rap c’è altre musiche, ci sono locali, ci sono locali piccoli, ci sono locali grandi, c’è il palazzetto, c’è l’aeroporto vicino che è uno dei più connessi d’Europa, per me era il vantaggio più grande di stare a Milano perché dico sempre a mia madre “io sto benissimo qua perché sono un’ora da tutta Europa” ed è secondo me la cosa, almeno che a me, stimola di più. Anche perché anche lì fai sessioni, cose, senti il produttore di Amsterdam, vai ad Amsterdam, stai tre giorni, torni indietro, ci sono cose che non sarebbe possibile fare, cioè ci aggiungi quelle 3-4 ore di macchina per andare a Milano a prendere l’aereo, non perché non è possibile, ma semplicemente perché non ti viene, cioè tipo questa cosa mi potrebbe venire voglia di farla oggi e la faccio domani, capito, mentre se sto da un’altra parte devo organizzare, prendermi una settimana e mezza prima, un mese prima, fare tutte queste cose, capito, e per me, specialmente la musica, che è il lavoro più pieno di imprevisti forse nell’intrattenimento o comunque sia uno dei più, bisogna sempre essere pronti a dire “eh vado di là, vado di là”. Io da quando ho visto, come si chiama, il documentario su Jimmy Yovine, c’è lui che dice che lo chiamano a Pasqua, lui era a cena, a pranzo con i suoi genitori a Pasqua, gli dicono “vieni, vieni, entra” e c’è John Lennon che sta registrando. Quella è una bella lezione, cioè almeno per me è stata una bella lezione, per dire proprio “cavolo, ogni volta che ci sarà un’occasione non conta dove sono, devo mollare tutto e andare a fare quello”, perché questo è quello che poi porta tutto il resto delle belle occasioni.

 – Certo, ed è un discorso di opportunità al 100%.

E poi Milano si è popolata di begli studi, di bravi produttori, di belle situazioni per confrontarsi e molti dei rapper e dei musicisti in Italia stanno facendo musica da qui.

– È facile beccarsi in questo periodo storico? Tra chi si capisce quantomeno?

Allora, queste cose qui sono sempre risposte che sono iper soggettive per ogni persona e soprattutto per la fase che sta affrontando, secondo me. Quindi non so se era un po’ più facile prima perché c’era molto meno e quindi eravamo tutti amici perché, cioè nel senso avevamo tutti pochino e eravamo tutti insieme a fare squadra. Mentre adesso vedo molto compartimenti stagni, circoli chiusi dove si fa fatica a fottere col circolo dell’altro. A me sinceramente dispiace perché è proprio la conseguenza di quanto il business entri nell’arte molto prima del gioco e secondo me è sbagliato che parta subito il business perché se no lavori e basta, non ti diverti mai. La musica è fondamentale, divertirsi per fare bella musica, secondo me. Quindi ecco, certe cose non le capisco, d’altra parte dico anche che quando io avevo 19-20 anni non ero mai a casa, ero sempre in giro, sempre su una metro, sempre su un vagone, sempre in qualche piazza, quindi magari sono anche io che mi sono diventato un po’ più orso e sono rimasto dentro casa. Io lo trovo un po’ più difficile, sia perché comunque sia la produzione è aumentata, nel senso che quando ero ragazzino usciva un disco ogni due anni, ogni tre anni e adesso invece di media esce più o meno un progetto all’anno ma comunque la gente sta veramente ferma, quindi fisicamente devi stare molto più tempo in studio per quanto mi riguarda. Cioè quando ero anche ragazzino mi piaceva andare in tour, raccogliere tante emozioni, costringermi addirittura a non scrivere per periodi lunghi di tempo, così che poi quando andavo in studio ero tutto compresso, diciamo, da questi mesi che avevo fatto saccoccia, come si dice, e arrivavo in studio e esplodevo, invece adesso sto vivendo una vita dove faccio sempre tutto insieme, nel senso che domani sto organizzando un live, vado al live, il giorno dopo vado in studio, il giorno dopo ho tre giorni liberi, prendo un aereo, vado tre giorni a Londra a fare musica, a leggere cose, torno indietro, studio di nuovo con New York, nel senso fare sempre tutto insieme, vivermi ogni giorno come se fosse una possibile occasione di lavoro o una possibile vacanza. Ovviamente tutto è sulla mia responsabilità perché nel senso è il mio culo che paga.

– Chiaro, chiaro.

Ed è anche un bel metabolismo questo di poter fagocitare qualcosa ma avere il tempo di metabolizzarlo giusto, senza dover per forza avere una delivery.

 – Tu hai fatto un album l’anno scorso, nel 23.

Sì.

 – E stai lavorando a nuove cose adesso?

Sì, sì, sì. Sto già facendo un altro disco, c’è già il concept, c’è già il titolo, le tracce sono a buon punto, quindi di base non dico che siamo lì ma quasi.

 – Ok, non per una questione di scaramanzia ma non mi interessa il titolo e il concept però, ma hai già risposto alla domanda che avrei voluto farti perché c’è un concept dietro alla musica. Anche in tutto questo periodo di metabolismo, di andare a scrivere e capire, c’è un’idea dietro a qualcosa che si può definire ancora album? Perché non è più scontata questa cosa?

Ma anche questa cosa è una domanda che mi vede in una posizione che non è proprio ben chiara, ben stabile, nel senso che a volte invidi un po’ le persone che riescono a non fare i concept album perché magari mi permetterebbe di avere più libertà tematica, di spaziare di più, di fare quello che voglio di più, non lo so. D’altra parte io sono cresciuto con questo tipo di album e sono questi gli album che mi hanno cambiato la vita, cioè dei dischi che più che un concetto avessero dietro un filone, un filone narrativo abbastanza, anche perché secondo me, non so come dire, abbastanza coerente, proprio anche nel pensiero dell’album, capito? Cioè nel senso a volte penso, se sento persone che dicono “eh ma dice ancora queste cose qui” eh certo, per primo non è cambiato un cazzo da quando ho iniziato a dirle, secondo la penso ancora così, cosa dovrei dire, il contrario per sembrare più vario? No, cioè il pensiero si evolve, a volte cambia totalmente, a volte si affina come una lama, diventa più affilato ancora e dici la stessa cosa ma in un modo anche molto più tagliente. Anzi secondo me è bello, per esempio, che ne so, anche dei poeti, si parla sempre dei loro temi principali, nel senso immaginati se a Leopardi avessero detto “oh ma minchia sei sempre triste, parli sempre di robe tristi” e non sono felice, cosa ti devo dire?

È bello questo paragone innanzitutto perché è molto alto e basso e quindi funziona sempre e dall’altra parte perché esiste un concetto di poetica anche nel contemporaneo, esiste un concetto di identità poetica, sono fatto così come essere umano, sono portato a pensare queste cose, per quanto il tempo possa cambiarmi, migliorarmi o muovermi, ci sono dei capisaldi in me che fanno parte della mia persona che rimarranno così, non c’è da che andare a snaturarlo.

Poi il pubblico spesso chiede coerenza perché vuole sentirle sempre le stesse cose, vuol dire “Nitro è fatto così, ti hai inboxato” e dall’altra parte con noi però non cambi mai, per cui c’è una richiesta dall’esterno che è definitivamente troppo variegata a volte. No, ma c’è una richiesta dall’esterno che non dovrebbe interessare all’artista, almeno a me piace molto de-responsabilizzarmi, a volte penso che non sono neanche io a scrivere i miei pezzi ma che sono veicolo per qualcos’altro, per un’ispirazione di più grande, per un’energia che ha di sopra di me e che io non riesco a controllare, quindi sto quasi per pensare di de-responsabilizzarmi dalla mia musica perché sto cercando anche ultimamente di fare i pezzi senza scriverli, solo in testa, perché così mi aiuta ancora di più a essere veicolo di questa forza o energia che ritengo superiore a me. A parte questo, è proprio questo insieme di richieste variegate, sbagliate ed estreme, perché, che ne so, magari c’è tipo, che ne so, mi ricordo un momento della mia vita dove io ero molto arrabbiato e le canzoni tristi di Eminem mi facevano cagare, dicevo “madonna, a che palle ogni volta nel disco c’è una canzone così frignona”, poi magari sono diventato più grande, ho avuto un momento triste e mi volevo ascoltare quelle, e poi penso “minchia, pensassi ogni volta che avessi pensato questa roba impulsivamente, l’avessi commentata e l’avessi… cioè, sembrerei un pazzo, uno che non ha un’idea perché tre anni dopo la cambi, ancora dopo la cambi, ancora dopo la cambi”. Sarebbe proprio da fare tutti un bel passo indietro, perché per me proprio anche l’insieme di tutte queste richieste, anche da parte del pubblico che spesso vuole essere nei panni dell’artista al punto da dire cosa dovrebbe fare per loro, quello che va meglio a loro, la parte che va meglio a loro di te, questo secondo me è quello che ha creato l’appiattimento culturale che c’è adesso, il fatto che tutti vogliono andare sul sicuro, nessuno vuole più rischiare. Se tu vai a vedere la musica degli anni primi ’90 e primi 2000, i rapper nella stessa epoca avevano stili così diversi che oggi sarebbero chiamati “generi”. E quello fa il “conscious rap”, e quello fa “low fi”, e quello fa… Quando ero ragazzino io questi erano stili, era sempre rap, ma ognuno faceva il suo stile.

 – Adesso sono generi praticamente, ondate, wave, no? E perché sono wave e non sono stili?

Perché una volta lo stile era di una persona sola, adesso le wave inglobano molti più artisti e quindi diventano gruppi di persone che fanno musica molto simile tra loro, quando in realtà è una scusa perché il genere si è allargato così tanto che è saturo, di base. È saturo e poi tutti ambiscono, o sono ambiti dal pubblico, a fare qualcosa che è molto di simile al pop, no?

– Avere quel successo che è simile al pop.

 Sì, però se lo devi fare con il pop stai giocando al gioco degli altri per me, nel senso che… Cioè, la cosa figa di quando il rap stava spaccando tutte le classifiche di 4-5 anni fa è che era rap, è che faceva i numeri del pop, ma era rap, era trap, era comunque una cultura appunto di quel tipo, cioè nel senso, ben inquadrata in quel certo tipo di dinamica sociale, ecco. Adesso è un po’ più un nazional popolare, un po’ di tutti, che ha i suoi vantaggi, che ha sicuramente anche i suoi svantaggi, però…

– Una cosa che mi è sempre interessata e piaciuta del tuo personaggio Nitro, è che hai un profilo Instagram molto seguito, una buona interazione dal pubblico, ma non l’hai mai pilotato verso altro che non fosse la tua musica. Nel senso, è ben chiaro il fatto che tu faccia il rap.

Eh, sì.

Nel senso, penso che sia una delle poche robe che faccio bene, quindi non… cioè… Ma, allora, poi questo è un bisogno che io non sento, perché non so come dire, io metto già tutto nella mia musica. Cioè, se tu ascolti la mia musica, sai quali sono i miei difetti, sai quali sono le mie angosce, sai quali sono le mie cose belle, sai quali sono le cose di cui mi vergogno, sai tutto di me. Ma perché io dovrei mettere nel mio profilo Instagram la mia opinione Ma poi, interessa davvero a tanti la mia opinione, se non è messa in rima e detta “Beh, cantata bene”?Cioè, nel senso, a dire la propria opinione sono capaci tutti, ormai è diritto di veramente… Anche il più scemo di tutti deve dire la sua e urlarla ad alta voce, è bella lì. Però, nel senso, il mio discorso non è solo quello, c’è anche un effort artistico, un effort di trasformare la mia opinione in qualcosa di orecchiabile, di musicalmente comprensibile e soprattutto di semplificarlo, perché magari anche chi non ci arriva è contrario al mio pensiero. Quando nota che ci metto quello sforzo lì, anche per metterlo in rima, per spiegartelo bene, per darti il mio punto di vista, magari ancora in disaccordo, però rispetto al mio punto di vista, per me, non so come… cioè, sembrerebbe ridondante riempire con le mie opinioni i social, visto che già le mie canzoni hanno le mie opinioni, di base.

 – È bello, eh, perché hai utilizzato lo stesso linguaggio di confronto con un pubblico, diciamo, un po’ più virtuale, quello di Instagram e dell’online, che è simile a quello che abbiamo descritto prima beccando gente al bar.

Sì.

È realmente un dialogo, qualcosa che ti va avanti e indietro, no? E definire poi il tuo rap invece come sintesi di quello che ci sta intorno, che tu sei il filtro di questo e lo porti agli altri, credo che sia un sentimento musicale abbastanza completo e complesso, che bello che ci sia nel rap italiano del giorno ad oggi.

Grazie.

 – Chiudere un po’ il cerchio di questa cosa. Ma parlando invece del lato più squisitamente musicale, con chi ti piace lavorare come produttori in questo momento, indipendentemente che poi tu concretizzi delle reali canzoni?

Mi piace molto lavorare sempre con Low-Kid, perché comunque io e lui abbiamo ascoltato tantissima musica insieme, la stessa identica musica, quindi quando parlo di qualcosa sappiamo già disco anno, title track, pure numero della traccia, nel senso quindi per me è importantissima questa cosa e abbiamo un rapporto che è da 12 anni, 10 anni che facciamo musica insieme, quindi ormai è così.

Mi piace molto lavorare con Mr. Monkey, con Kriposki, sono due ragazzi fortissimissimi, mi piace molto lavorare con Mike Defunto, con Big Joe, ci ho appena lavorato, molto bello, però ecco di base mi piace sempre lavorare con producer che abbiano intanto un loro suono ben caratteristico e soprattutto che abbiano voglia di interagire con l’artista, che abbiano voglia di suggerire melodie, ritornelli, modi di prendere il loro beat, perché loro lo conoscono da dentro e quindi possono aiutarmi a grapparmici meglio, mi piace andare in studio senza avere niente, neanche una roba scritta e provare a trovare la soluzione con loro, più spontaneo.

 – Si sta parlando tanto della maniera di scrivere rap, che è cambiata generazionalmente, una volta si pensava sempre al Duke of Rhyme, Penelope Ed, un mondo di scrittura intimista che si fa a casa, ascoltando il beat o un type beat e poi lavorandoci solo, invece adesso c’è chi va in studio e, come mi stavi raccontando tu adesso, non ha esattamente idea di che cosa scriverà sul pezzo, per cui lo recupera qualcosa che ha già nella mente o se no lo scrive magari barra dopo barra direttamente al microfono, tu mai provato queste diverse metodologie di interazione con la scrittura?

No, sì, io tuttora… ma ormai siamo un 50/50, nel senso 50 delle volte non scrivo e 50 delle volte scrivo, perché a volte voglio fissare bene un concetto, altre volte invece mi voglio concentrare sull’istinto e la spontaneità, e dipende sempre da cosa cerchi da una canzone, se una canzone deve avere un tema abbastanza complesso, oppure anche semplicemente un fattore tecnico, una canzone devi usare un extra beat, difficile che la fai senza scrivere, se no oppure dici un po’ di robe, autocelebrazione, i soliti live motive di questa musica comunque, però di base ultimamente nelle cose emozionali, specialmente sulle robe a 90 bpm, mi piace proprio non scrivere, c’è proprio fare barra per barra, quartina per quartina, dire cosa mi viene adesso, faccio quello, ho visto Lil Wayne farlo in una sessione, e da quel giorno lì ho iniziato a farlo anche io, non lo ritengo un lavoro più superficiale della strofa che mi metto a scrivere, assolutamente, perché quando ho imparato a capire come funzionava questo mezzo, mi sono guardato allo specchio e ho detto, comunque tu ascolti il rap da quando hai 8 anni, adesso ne hai 31, quindi sono più di 20 anni che ascolti il rap, che pensi in rap, che ogni giorno ogni parola del cazzo che tu vedi nei cartelli la pensi in metrica, come va di là, come va di qua, non ti prendere male o pensare che una roba sia brutta o fatta superficialmente perché l’hai fatta in 10 minuti, tu hai studiato 20 anni per fare quella roba in 10 minuti, ed è questo il segreto che c’è dietro, il far sembrare facili le cose che sono difficili, perché il tuo cervello è così abituato a quel tipo di ragionamento che ormai anche quando parlo ho una ritmica, la vita è più forte di me, quindi perché stare lì a pensare, a pensare che tante volte è quello che ti fotte, e quindi ho deciso a volte di prendermi un po’ meno sul serio e di dire buttati, tanto al limite domani quella barra fa schifo, la cambio, però non privarti del momento, del momentum più che del momento, dell’inerzia di quando hai voglia di fare qualcosa.

 – E ti senti di fare quella cosa in quel momento.

È come quando fai il trick a skate, oppure quando vai in scivolata, ma cosa ti diceva sempre il papà quando vai in scivolata, che se fai con la gamba morbida ti distruggi, devi sempre andare duro convinto, così è, così è anche nella musica ormai, di brutto, cioè quando ti devi buttare, ti devi buttare, non ti puoi farmare ogni due minuti a dire cosa scrivo, cambio, cambio, no ormai ti sei buttato e cerca di stare in piedi, poi ci si allena e si continua a buttarci, finché non viene perfetto il tutto.

 – E poi è una paura di sbagliare che porta a non avere un’identità, perché a volte anche nell’errore stesso, quando è forte di carattere, trovi un’identità molto bella.

 Ma assolutamente, ma poi anche tanti errori che vedi di te stesso, esattamente come la maggior parte dei tuoi difetti fisici, che tu vedi enormi, magari la gente manco se ne accorge, e magari si accorge di altri difetti che tu non pensavi di avere, quindi c’è nel senso, bella lì, siamo qua, viviamo, e non so come dire, è facile fasciarsi troppo la testa su questa roba. – Che poi in arte, nella musica, la cosa figa è che quel farsi male a volte è il parere di qualcun altro fuori che vede le cose in maniera diversa da te. Se si ha paura di quello, si ha paura di esporsi, allora tanto va, non farebbe gli altri questi. – Assolutamente sì, e guarda, è una cosa che mi ha messo molto in pace con me stesso, perché, va bene, con un po’ di spocchia però ho detto, minchia, comunque tre quarti delle persone che critica l’arte, se sapesse fare arte non la criticherebbe, basta, perché farebbe l’artista. Quindi nel senso, a me piace ancora fare, non mi piace neanche parlare di quello che non mi piace nell’arte. Non lo so, sarà proprio che vedere sulla tua pelle, quando le persone depennano in cinque minuti, quello che tu ci hai messo l’anima per farlo, è una cosa che mi ha tolto un po’ di sensibilità a questa cosa. Però proprio mi sembra di perdere tempo ad odiare qualcosa, quando non è una cosa ingiusta, capito? Se è una roba che a me non piace, ma che non ha nessun tipo di ingiustizia, non fa del danno a nessuno, non vedo perché mi deve fare arrabbiare, capito? Finché c’è qualcuno che la compra, finché c’è qualcuno che la mangia, bella lì. –

 – Semplicemente perché non è il tuo piatto, non deve essere per forza qualcosa di cattivo per tutti.

No, infatti, ma proprio trovo veramente che sia perdere tempo a inquinarsi la testa con solo cose brutte, perché cominci a odiare le cose, cominci a considerare solo quello che odi, alla fine cominci a odiare solo quello che non ti piace, cioè cominci a notare, anche nella tua vita e in tutto, solo quello che non ti piace, e ti dimentichi di quello che ti piace della tua vita, capito? E diventa un circolo vizioso di negatività che tu pensi di dare a un altro nel momento in cui gli dici “la tua roba fa schifo”, ma in realtà ti rimane dentro a te, perché stai sempre parlando così e quindi anche il tuo cervello si abituerà a fare input così, se tu fai sempre output così, capito? – Detto da te che hai sempre avuto un rapporto con la musica molto viscerale, forte, urlato, passionale, e parlare di positività e negatività in una maniera così chiara è bello, perché spesso la forza e il gesto di pancia viene percepito come negatività, non stai urlando atteggiamenti negativi.

 –Invece ci può essere una positività di fondo così forte da sopportare la rabbia anche a volte.

Sì, appunto, come ti dicevo prima, la scusante per me è il gesto artistico, nel senso che se io scrivessi quello che penso e ci scrivessi i libri, sarei una persona orribile per quanto mi riguarda, perché li metto in rima che è la “passo liscia”, però è per questo motivo che dico.

– Non le trovo situazioni come dire…

 Anche se la mia musica parla molto di rabbia, di odio, di rancore, se quell’odio, quella rabbia e quel rancore si fossero manifestati, non avrei scritto una canzone, avrei fatto delle cose brutte. Per me quella è già positività. Non a caso di questo assioma strano dovremmo parlarne ore, cioè del fatto che spesso i musicisti che fanno la musica più cattiva nella vita sono i patatoni, poi guardare nella R&B e ci vedi cose che non vorresti mai sapere. Però è strano come cosa, non è come se chi può sfogarsi sul palco poi non si debba sfogare nella vita e viceversa. Certo, e quel balance a volte da fuori è difficile da cogliere.

 – Per fortuna ci siamo noi che ci facciamo due chiacchere e spieghiamo per bene le cose che abbiamo fatto. Io ti faccio il migliore in bocca al lupo, le dimmi un altro per la scrittura del disco, per la delivery. Sicuro che ci rivedremo dopo quando sia.

Dai, grande, grazie.

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