Loud
Di sicuro era la cosa che si aspettava di più, fosse anche solo per la curiosità di vedere che cosa accade quando la monumentale W del clan riappare con qualcosa di nuovo. Il terzo album dei Wu Tang arriva a tre anni di distanza dal precedente e a seguito di un notevole calo di popolarità del gruppo. Così il clan tenta di rishakerare la formula, facendosi annunciare da un singolo che ci riporta dritti dritti nel 1993: “Protect Ya Neck (The Jump Off)”… Bum, si rientra nelle 36 stanze e non si tratta solo del titolo, il brano è un posse cut pesante, senza ritornello, con strofe ruvide e ben definite come blocchi di cemento. Bello davvero, così quando hai l’intero “The W” in mano ti aspetti inevitabilmente di sentire ‘quella roba’. In realtà gli elementi ci sono un po’ tutti, si riprende con gli skit ritagliati dai film di kung fu, Rza confeziona i suoi percorsi ritmici inusuali e stonati, i suoni sono scuri e minimalisti, le rime ci sono tutte, tranne quelle di ODB che viene sempre rimpiazzato da Cappadonna e quando nell’intro Method Man biascica “We’re Back” pensi proprio di poterti fidare. In realtà l’album si slaccia subito, già con la ostica “Careful” e deprime definitivamente al terzo brano, ovvero “Conditioner” in cui, per coinvolgere ODB, Rza usa una sua vecchia strofa mal registrata e lo mette in accoppiata con un improbabile Snoop Dogg. Il tutto assolutamente fuori luogo per un ben triste risultato. La situazione si risolleva con “The Monument” in cui Raekwon e un ottimo Masta Killa fanno davvero sentire a suo agio Busta Rhymes mentre Rza taglia il campione in tre modi diversi durante lo stesso pezzo per accompagnare i tre mc. Da sentire più e più volte. Ottimo anche il secondo singolo “Gravel Pit” e niente male davvero il cameo di uno sporchissimo Redman in “Redbull”. Ma “The W” non convince. Gli elementi ci sono ma mancano di sostanza. I dubbi mi sorgono in particolare quando mi rendo conto che la cosa che più mi colpisce dell’album è la strofa di Nas in “Let My Niggas Live” (da pelle d’oca, come ai tempi di “Illmatic”). Ma come? Dov’è quel gusto unico con il quale il Clan ci aveva deliziato e viziato nel ‘93? Manca. Quando “Enter The 36 Chambers” uscì, l’impatto fu un pugno nello stomaco. I nove di Shaolin erano una cosa sola, il loro album aveva una compattezza incredibile, come solo nove persone che vivono, dormono e mangiano assieme possono produrre. Aveva la rabbia della povertà, era storto come un arto malato, delirante, complesso, crudo e infangato di una saggezza maturata nei sottoscala del ghetto, tra il rigore musulmano e il misticismo delle arti marziali. Una serie di elementi che difficilmente si possono ripetere con la stessa intensità dopo sette anni. I Wu Tang, per loro fortuna, sono passati ad una vita ben più agiata e considerando i loro rispettivi impegni solisti è già incredibile pensare che siano riusciti a fare un album assieme di nuovo. Ma la differenza è abissale. “The W” è un buon album di Hip Hop, sia inteso, anche se scivola su qualche brano, ma forse il Clan doveva tentare un’altra strada invece che inseguire la formula che li incoronò sovrani al loro esordio. Questo ne è solamente un riflesso.
Di Sivia Volpato
AL 52 Dicembre 2000 – Gennaio 2001